Ciao e buon sabato!
Questa è l’uscita numero 75 di S’È DESTRA, la newsletter che racconta protagonisti, idee e storie delle destre in Italia e non solo. La scrivo io, che sono Valerio Renzi, in collaborazione con Fandango Libri.
Oggi mettiamo in pausa la serie Fascismo di silicio (ho linkato tutte le uscite in fondo), che voleva essere un modo di portare avanti una riflessione sull’avvento al potere dei tecnoligarchi e dell’amministrazione Trump-Musk. Ma la cronaca va troppo veloce e per non essere assediati da questa, e provare a dare una lettura di quanto sta avvenendo, c’è bisogno di tempo per prendere fiato e di tempo per studiare.
Torniamo così a parlare della destra di casa nostra, e in particolare dell’offensiva culturale che si sta dispiegando in occasione del 50° anniversario dell'omicidio del militante missino Sergio Ramelli.
Per l’agenda: venerdì 14 sono a Pistoia
Per non perderci di vista online: la mia mail è valrenzi@gmail.com, ho un profilo su X e uno su Instagram, e da qualche giorno anche su Bluesky e Mastodon. Ho anche cominciato a usare quotidianamente Substack lato social e dà parecchie soddisfazioni, e soprattutto ho aperto un canale Telegram legato a questa newsletter per tutte le cose che non stanno in una lunga uscita settimanale.
Andiamo!
Il 13 marzo del 1975 Sergio Ramelli viene aggredito a pochi metri dal portone di casa da un gruppo di militanti del servizio d’ordine di Avanguardia Operaia a Milano. Riceve diversi colpi di chiave inglese alla testa e, dopo oltre un mese di agonia, muore in ospedale il 29 aprile del 1975.
Ramelli era da poco iscritto al Fronte della Gioventù, la giovanile del Movimento Sociale Italiano. Il suo omicidio arriva al culmine di una lunga serie di aggressioni e intimidazioni che subisce nella sua scuola da parte dei militanti dell’estrema sinistra. Alla fine sarà costretto anche a ritirarsi e a cambiare istituto.
La sua storia è una storia drammatica, come tante altre storie legate ai lunghi anni Settanta italiani. Una stagione che, come ho già avuto modo di riflettere qui e qui, ancora proietta la sua ombra sul nostro presente ipotecando il discorso pubblico. I numeri della violenza politica in Italia sono stati numeri da guerra civile, non solo per il numero di vittime, ma soprattutto per il numero di uomini e donne coinvolti.
Una storia che ha anche rappresentato una svolta per il dibattito pubblico nel nostro paese sulla violenza politica.
Nel settembre del 1985 vengono arrestati gli ex appartenenti al servizio d’ordine della Facoltà di Medicina di Avanguardia Operaia. Alcuni di loro sono medici ormai affermati, fanno politica in Democrazia Proletaria o nel PCI a livello locale nel Milanese, sono accusati di aver ucciso il militante missino Sergio Ramelli a colpi di chiave inglese. Per l’omicidio saranno condannati a vario titolo Marco Costa, Giuseppe Ferrari Bravo, Claudio Colosio, Antonio Belpiede, Brunella Colombelli, Franco Castelli, Claudio Scazza e Luigi Montinari. Per la prima volta si apre il dibattito sulla violenza antifascista e si comincia ad articolare un discorso che mette al centro le storie delle vittime, il cui canone sarà poi stabilito anni dopo dal libro del giornalista Luca Telese Cuori Neri. Gli stessi protagonisti di quelle vicende iniziano un riesame critico della violenza politica generata nello scontro sociale del lungo Sessantotto italiano. L’Unità racconta il convegno che si tiene il 12 ottobre dello stesso anno, un mese dopo gli arresti per Ramelli, nella sala della provincia di via Corridoni proprio a Milano. Ci sono tutti gli ex leader e protagonisti del Sessantotto milanese e non solo, chiamati a dare un giudizio su quello che è accaduto dopo la rivolta studentesca.
E ovviamente non si può che discutere di Ramelli. C’è Mario Capanna, c’è Adriano Sofri, c’è Stefano Rodotà e c’è anche il figlio di Aldo Moro, Giovanni Moro. La giornalista di stretta fede comunista Miriam Mafai, presidente della Federazione nazionale della stampa, viene fischiata quando prende la parola e dice chiaramente “Ramelli non fu solo un errore”. Poi la cronaca del giornalista riporta le parole di Adriano Sofri. L’ex leader di Lotta Continua è ancora lontano da essere accusato di essere il mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi: “Sono a disagio quando si parla del ’68 e degli anni seguenti come di un periodo luminoso, così come non sono d’accordo quando se ne parla in termini di anni bui. Dobbiamo accettare l’ambiguità e la contraddizione. Dobbiamo dire che compimmo veri e propri misfatti. Ci organizzammo anche per menarci tra di noi”.
È lo psicodramma degli ex Sessantottini, ansiosi di inserirsi nel nuovo corso postideologico.
Oggi, impossibilitati a riflettere su quella stagione nella sua dimensione storica, come un evento concluso, ci troviamo in balia della destra ex missina che ne continua a chiamare continuamente in ballo lo spettro. Come avrete notato ogni singolo atto di conflittualità sociale per gli esponenti della maggioranza è l’anticamera del terrorismo. Un po’ esagerato come minimo, visto e considerato che viviamo in un paese in cui la violenza politica è un fenomeno più che marginale, sostanzialmente inesistente (a differenza di altre democrazie occidentali dove invece persistono momenti di insubordinazione collettiva che passano anche per l’esercizio della violenza che coinvolge decine di migliaia di persone come negli USA, in Francia, in Grecia).
Come mi è capitato di sottolineare in diverse occasioni poi, lo spettro degli “anni di piombo” serve anche per delegittimare ogni contestatore e criminalizzare l’antifascismo più o meno militante. Il racconto costruito in questi anni da parte della destra postfascista è quello di appartenere a un gruppo di sopravvissuti, delle vittime dell’odio rosso che nessuno negli anni del Dopo Guerra e poi nel biennio Sessanta-Settanta ha voluto difendere, lasciandoli inermi di fronte alla violenza.
Questo racconto unidimensionale è ben rappresentato dall’agiografia costruita su alcune vittime “nere” e sulla rimozione delle responsabilità neofasciste (e dello stesso Movimento Sociale Italiano) nella strategia della tensione e nella stagione delle stragi, da Piazza Fontana alla Stazione di Bologna.
È proprio sul riconoscimento di questi martiri che la destra oggi al potere vuole costruire un nuovo patto istituzionale: non potendo riconoscersi nei valori della Resistenza, propone che il nuovo comune denominatore delle forze politiche democratiche si ritrovi nel riconoscimento delle rispettive vittime degli “anni di piombo”. Un terreno su cui la sinistra postcomunista è sicuramente sensibile, avendo nel proprio dna la lotta al terrorismo ed essendosi fatta Stato ponendosi come argine alla sinistra rivoluzionaria negli anni Settanta. La differenza è che la destra lo fa non avendo mai rotto, ma anzi avendo prima coperto e oggi negando le proprie responsabilità nella stagione delle stragi e non solo.
Quando si parla di uso pubblico della storia, la destra italiana ha già dimostrato di saper muoversi con metodo ed efficacia, con il sostegno spesso e volentieri degli intellettuali liberali (il revisionismo d’altronde è stato un fenomeno di massa nel nostro paese, pensiamo a due libri/fenomeno su tutti: Il Sangue dei Vinti di Giampaolo Pansa - quasi mezzo milione di copie - e Cuori Neri di Luca Telese), e anche nell’imposizione dello spazio pubblico dei giovani missini come perseguitati ha fatto un grande lavoro costruendo la propria martirologia attorno ad alcuni degli episodi più drammatici, presentando però la propria storia sotto il profilo delle vittime per una completa legittimazione nella storia della Repubblica.
E veniamo allora ai cinquant’anni della morte di Sergio Ramelli, una delle figure su cui maggiore è stato l’investimento della destra italiana per farne il paradigma della vittima, e all’offensiva culturale e memoriale a cui stiamo assistendo. Sul sito www.sergioramelli.it si possono trovare tutte le iniziative promosse in questi anni: libri, fumetti, intitolazioni di strade, incontri pubblici, e lo sforzo compiuto negli ultimi mesi, abbastanza per rendersi conto dell’investimento politico fatto nel valorizzare la memoria dell’omicidio Ramelli.
L’interesse agiografico nei confronti della figura del 19enne assassinato si può osservare prima di tutto dalle uscite editoriali intorno all’anniversario. Il primo da citare e il primo a essere arrivato in libreria è Il tempo delle chiavi di Nicola Rao, giornalista ed ex missino, arrivato in quota FdI ai vertici della Rai (ultimi ruoli ricoperti: direttore del TG2 e direttore della Comunicazione di viale Mazzini). Rao ha firmato una trilogia sulla storia della destra e del neofascismo italiano per Sperlinkg & Kumpfer, e oggi esce per una casa editrice di area cattolica.
Per l’editoria della destra radicale troviamo la riedizione di Sergio Ramelli: una storia che fa ancora paura (Idrovolante Edizioni) di Guido Giraudo, Andrea Arbizzoni, Francesco Grillo, Paolo Severgnini, Giovanni Buttini, che curano anche il sito sopracitato. Giraudo è un vecchio militante del FUAN, vicedirettore del settimanale di area Candido, e componente di uno dei primi gruppi di musica identitaria gli Amici del Vento, oggi è un grande animatore di iniziative sulla storia e la memoria della destra italiana. La riedizione si può fregiare di una prefazione del presidente del Senato Ignazio La Russa e della postfazione di Paola Frassineti, sottosegretario di Stato al Ministero dell'Istruzione e del Merito, impegnatissimi anche in presentazioni e dibattiti in queste settimane.
Ci sono poi due libri editi dalle case editrici dei più importanti gruppi editoriali del paese, quelli dei salotti buoni della borghesia. Pino Casamassima firma Hazet 36. Sergio Ramelli, storia di un omicidio politico per Solferino, e Giuseppe Culicchia Uccidere un fascista. Sergio Ramelli, una vita spezzata dall’odio per Mondadori. A questi va aggiunto un ulteriore libro della giornalista di Repubblica Federica Venni per Castelfranchi, segnalato ma di cui al momento non trovo traccia.
Ma non ci sono solo i libri: è pronto il francobollo per Ramelli, e siamo informati che vie e giardini saranno inaugurati a Busto Arsizio, Cassano d’Adda, Sesto San Giovanni, Trezzano sul Naviglio, Novate e Macerata.
In questi mesi La Russa è stato impegnatissimo a presentare, prefare e raccontare in modo decisamente creativo la sua militanza giovanile. Ha raccontato durante la presentazione del libro di Rao lo scorso novembre:
Nel 1969 passò un corteo di sinistra in piazza San Babila. E per la prima volta dei ragazzi avevano in mano dei bastoni. La cosa ci scandalizzò perché fino a quel momento la violenza era fatta di sberle. Cominciava un’escalation, dai bastoni si passò alle chiavi inglesi e poi alle pistole. Fermiamo qualsiasi piccola escalation prima che possa essere troppo tardi. Non dobbiamo arrivare al latte versato fermiamoci prima. Non criminalizziamo inutilmente chi non c’entra. Ma sappiamo che anche se dovessero essere una minoranza tra quelli che manifestano, sono le avanguardie delle ‘chiavi’.
Come no. Gli squadristi di San Babila, nel 1969, scandalizzati per dei bastoni. E poi la criminalizzazione di ogni forma di conflittualità sociale seguendo lo schema sopra presentato.
Infine mentre Fratelli d’Italia è impegnata a costruire l’agiografia dei caduti missini, deresponsabilizzando completamente la propria parte politica da essere stata protagonista di alcune delle pagine più buie e sanguinose del Dopoguerra, ci sono i neofascisti veri e propri che si preparano per il rito del “presente” in via Paladini. Il culto dei morti si conferma, ancora una volta, il trade union di una memoria condivisa e del cordone mai reciso tra il partito oggi di maggioranza relativa e il presente e il passato dell’estremismo di destra.
Qui puoi recuperare le uscite di Fascismo di silicio, la serie di questa newsletter dedicata all’avvento dei tecnoligarchi e dell’amministrazione Trump-Musk:
Fascismo di silicio #1. Peter Thiel: l'eminenza nera della Silicon Valley
Fascismo di silicio #2. Illuminsmo Oscuro: Curtis Yarvin e Nick Land
Fascismo di silicio #4. Progettare il futuro del mondo giocando a SimCity
Fascismo di silicio #5. I sogni della destra, l’inganno del capitale, la libido dei massacri
Se permette è facile sentire dalle persone normali che "francamente uccidere un fascista è se non è proprio consentito è comunque accettabile", perché alla fine se l'è cercata a professare quelle idee diaboliche. Ultimo esempio? La martellata di Ilaria Salis. E visto che fino a poco fa era difficile non essere prima o poi accusati di essere fascisti (anche Chavez era fascistone) mi pare servita sul piatto la versione vittimista degli altri. Oggi per vari motivi la sinfonia sta cambiando, gli antifa come Scurati citano Junger e chissà che succederà 🍿