Antifascismo reloaded
Una riflessione a partire dal libro di Luca Casarotti "L'antifascismo e il suo contrario".
Bentrovate e bentrovati. Questa è l’uscita numero 27 di questa newsletter, realizzata in collaborazione con Fandango Libri, la casa editrice di Fascismo Mainstream.
(Tra l’altro: Fandango ha inaugurato una sezione dedicata editoriale dedicata ai podcast, dateci un occhio).
Quella di oggi non è tanto una recensione, quanto un dialogo con un libro appena uscito per i tipi di Edizioni Alegre L’antifascismo e il suo contrario, scritto da Luca Casarotti che è Research Fellow all’Università per stranieri di Siena, un giurista che ne sa di diritto romano, ma anche uno dei componenti di Nicoletta Bourbaki (gruppo di lavoro sul revisionismo storiografico in rete e sulle false notizie a tema storico) e collaboratore di Jacobin Italia.
(In copertina un particolare de L’Assaltatore di Enrico Baj)
Già presentando l’autore nelle righe d’introduzione lo abbiamo detto: Luca Casarotti è un giurista, e si occupa per di più di diritto romano. Non c’è da stupirsi quindi, del fatto che ama dare alle parole un significato preciso, e che segua il filo del ragionamento delle idee rintracciando fallacie logiche e scorciatoie. Sì, è anche un appassionato di retorica. Casarotti - utilizzando un’espressione poco elegante - è uno che fa la punta al cazzo agli argomenti altrui, che non ne fa passare una. Che non cede alla tentazione di chiudere una diatriba con una pacca sulla spalla o evitando di affrontare un terreno divisivo. Tutt’altro, rivendicando il proprio ruolo di intellettuale di parte e di militante, ci tiene proprio a tracciare una linea tra chi sta “di qua” e chi sta “dillà”.
Il titolo del libro già è un programma. Se non sei antifascista allora che cosa sei? A questa semplice domanda mia nonno, tagliando in un solo colpo il nodo gordiano avrebbe risposto: “Stronzo”. Seguendo strettamente la logica la risposta più ovvia è: fascista.
Ma le cose sono più complicate. La destra destra di Fratelli d’Italia, che del fascismo storico è l’erede in linea diretta, ha ricostruito la sua storia e la sua legittimità istituzionale ribadendo di non essere antifascista, ma piuttosto di essere “afascista”. E nessuno in effetti ha avuto più di tanto da ridere, perché l’antifascismo non va di moda, né tra gli ex comunisti, né tra i cosiddetti liberali e i conservatori (la cui radicalizzazione a destra è ben raccontata qui da Lorenzo Zamponi).
Casarotti porta come casi studio esemplari due libri. Il primo è La morte della patria dato alle stampe nel 1996 da Ernesto Galli delle Loggia. Questo è un concentrato di tutta la retorica che vede nella Resistenza un fatto divisivo e per questo di per sé negativo, tutt’al più una necessità inevitabile. Un evento storico da superare in favore di un nuovo sentimento nazionale, che ha garantito la piena agibilità ai comunisti nell’Italia del Dopoguerra. Galli della Loggia in nome dell’unità nazionale e dell’idea stessa di nazione, che andrebbe ancora appieno ricostruita dopo l’epopea resistenziale, piccona il mito partigiano, racconta una sciagurata guerra civile, non un momento di riscatto nazionale.
(Nota bene: e pensare che il Pci non solo promulgò l’amnistia Togliatti, ma si impegnò nel raccontare la Resistenza come l’ultimo atto del Risorgimento, disincentivando il racconto di un conflitto che fu anche di classe).
L’altro libro che l’autore ripercorre, mettendone alle strette le tesi, è Ma se io volessi diventare una fascista intelligente? di Claudio Giunta. Il libro del docente di Letteratura Italiana e saggista, viene qui preso ad esempio dell’altro tipo di dispositivo discorsivo che prova ad archiviare una volta per tutte l’antifascismo come fatto centrale della nostra democrazia: il fascismo semplicemente, è stato sconfitto, è un fatto storico concluso, l’ossessione della sinistra per l’antifascismo serve esclusivamente a voler mantenere una propria supremazia morale in politica. Insomma, le idee dei fascisti (per quanto stravaganti o terribili siano) secondo Giunta andrebbero discusse come qualsiasi altra idea, per essere democraticamente confutate in forza della superiorità delle ragioni della democrazia liberale. Quello che Giunta imputa all’antifascismo è un furore ideologico degno della Rivoluzione Culturale, che altro non farebbe che inquinare il dibattito e la vita civile.
Molto dello spazio del libero è soprattutto dedicato capire chi e perché non vuole dirsi antifascista, pur non essendo fascista. Se il contrario dell’antifascismo è il fascismo dunque, sono in molti quelli che non hanno nessuna intenzione, per ragioni diverse ma tutte argomentate con solida visione ideologica (spacciata spesso per buon senso), a non volersi dire antifascisti. Una posizione che, per essere assunta senza imbarazzo dai suoi assertori, ha necessitato di un feroce campagna ideologica, passata per il revisionismo storico “alla Pansa” (e la diffusione delle leggende anti partigiane (che prima circolavano solo in piccoli ambienti neofascisti), e che ha visto il suo trionfo con la legge sul Giorno del Ricordo delle vittime delle Foibe.
Casarotti propone allora un metodo per costruire una pratica antifascista rinnovata e la centralità dell’antifascismo come ideologia. Un antifascismo che non esita a definire “scientifico”, fatto di una solida pratica storica e divulgativa, che restituisca la storia della Resistenza e dei suoi protagonisti per quello che è stata, e che metta ancora una a volta a valore l’antifascismo non come un fatto unitario, ma come il minimo comune denominatore tra forze diverse. Un campo al suo interno competitivo e dove si confrontano idee di società anche contrapposte.
Fin qui il libro.
Faccio ora tre rilievi al libro di Casarotti che, se molto utile per colpire il discorso e l’ideologia di chi non riesce a dirsi antifascista, per altri versi necessità credo di un supplemento di discussione.
Uno. Penso che l’autore sottovaluti quanti danni ha fatto la retorica istituzionale dell’antifascismo e quanto, quella che altrove ho chiamato Religione Antifascista di Stato, sia ormai un insieme di discorsi e simboli pressoché inservibili, e che non credo rianimabili esclusivamente con un approccio pedagogico e illuminista. Questa riflessione credo debba investire anche il senso della vita di un’associazione come l’Anpi, di cui Casarotti è un iscritto e un dirigente.
Due. Dobbiamo esplicitare con più forza perché in tanti faticano a dirsi antifascisti. È l’affermarsi di un’ideologia anti egualitaria che ha in odio i valori della Resistenza, in quanto fatto costituente che ha iscritto nella grammatica democratica e istituzionale l’eugalitarismo come tratto caratterizzante (se qualcosa dobbiamo salvare della Costituzione è l’articolo 3 che, potenzialmente, contiene il superamento stesso della Carta con quel “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale”), e che riconnette a un livello profondo la destra figlia del fascismo storico, il nuovo centro radicalizzato e il liberalismo. I liberali di oggi (e perché no anche i più accaniti fan della terza via), sono a disagio con l’antifascismo perché sono a disagio con l’idea di uguaglianza.
Tre. L’autore afferma e argomenta con grande forza, a mio avviso a ragione, che l’antifascismo ha senso di esistere anche in assenza del fascismo come esperienza storica incarnata in un regime di governo. Questo prima di tutto perché molte idee dei fascismi storici sono ancora in circolazione e ampiamente utilizzate nel mercato della politica, e poi perché l’insieme dei valori che esprime l’antifascismo hanno un valore universale e non sono una questione di tattica contingente. Quello che però manca nel libro di Casarotti è rilevare come la storia dell’antifascismo abbia travalicato i limiti temporali dell’esperienza resistenziale. Non esiste solo l’antifascismo dei partiti e delle istituzioni, ma anche un antifascismo militante che si è scontrato attivamente con il neofascismo, due dimensioni che si sono divaricate sempre di più. È sul rifiuto della violenza dei cosiddetti “anni di piombo” che la destra destra vuole costruire la sua nuova legittimità istituzionale, presentandosi come le vittime di una ingiusta persecuzione e dell’odio rosso (un riferimento per tutti: il discorso con il quale Giorgia Meloni ha chiesto la fiducia in parlamento). Una pagina già condannata in toto dal Pci e dai suoi epigoni, che sulla difesa dello Stato dal terrorismo e lavorando all’isolamento della sinistra rivoluzionaria, ha già costruito la sua legittimazione a partire proprio dalla difesa delle conquiste democratiche figlie della Resistenza. Sono tutti argomenti importanti, di cui sarebbe necessario parlare sempre a proposito di uso pubblico della storia.
Leggete L’antifascismo e il suo contrario, serve discutere del nostro antifascismo.
Due segnalazioni:
Nelle scorse settimane su Twitter (o X) ho scritto una serie di thread che raccontano quando il conflitto israelo palestinese si combatteva a Roma. Una raccolta di fatti: omicidi extragiudiziali, attentati terroristici, bombe in hotel, vendette con scambio di persona tra il 1946 e l’1985. Storie di cui quasi nessuno sa niente. Li ho raccolti qui.
Infine un articolo che ho scritto per Fanpage.it che racconta chi è e cosa pensa Jonathan Pacifici, uno dei propagandisti di guerra più attivi in Italia oggi nel sostegno alle politiche di guerra del governo di Israele.