Ciao!
La settimana scorsa un sacco di cose da fare, e molti cambiamenti all’orizzonte che presto racconterò, quindi ho saltato l’uscita. Per chi non fosse un habituè questa è S’È DESTRA, la newsletter che ogni sabato vi racconta fatti, idee, storie della destra italiana e non solo, da Meloni a Trump, passando per i gruppi neonazi fino all’ideologia degli oligarchi della Silicon Valley.
Oggi parleremo del rapporto della destra con la Rivoluzione iraniana, e degli effetti della guerra durata 12 giorni tra Israele e Iran, con l’intervento degli Stati Uniti.
Prima di iniziare qualche aggiornamento come di consueto, in particolare sull’andamento del mio nuovo libro Le radici profonde. La destra italiana e la questione culturale. Qui potete leggere un’anteprima uscita sul sito de Il Libraio. Un altro estratto è uscito proprio su questa newsletter (per me molto sfizioso).
Lo potete trovare in libreria, in tutti gli store online e sul sito di Fandango Libri, che sostiene questa newsletter.
Le prime presentazioni a Palermo e Padova sono state un bel momento, per me ma spero anche per chi ha partecipato. Ecco cosa è successo a Sherwood Festival (grazie: vi voglio bene):
Le radici profonde è stato il protagonista anche di una puntata di Timbuctù, il podcast di Marino Sinibaldi per il Post:
Per vederci dal vivo.
La prossima presentazione è a Roma il 1 luglio alla Festa dell’Unità di Terme di Caracalla con Marta Bonafoni, coordinatrice della segreteria nazionale del PD (e buona amica), con la conduzione di Emanuele Riccomi. Ci vediamo alle 19.00.
Per non perderci di vista online: la mia mail è valrenzi@gmail.com, ho un profilo su X e uno su Instagram, su Bluesky e Mastodon. S’È DESTRA è anche un canale Telegram per tutte le cose che non stanno in una newsletter settimanale.
Iniziamo!
Israele ha aperto un altro fronte di guerra, dando il via a una campagna di bombardamenti contro la Repubblica islamica dell’Iran. L’ostilità si è trasformata in guerra aperta. Mentre il genocidio si continua a dispiegare a Gaza, dopo la caduta di Damasco e dopo che Israele ha annichilito Hezbollah in Libano con un’operazione che è sembrato uscire dritta dritta da un romanzo, il governo Netanyahu sembra essere stato tentato dalla possibilità di tagliare la testa del cosiddetto Asse della Resistenza. Al momento il conflitto sembra concluso con le bombe americane sganciate sui siti sotterranei dove l’Iran sviluppa il suo programma nucleare.
E così ci siamo trovati in un dibattito che è sembrato uscire dritto dritto dall’inizio degli anni 2000. La nostalgia per la fine della storia vede un ritorno in voga delle idee dei neoconservatori, che sembravano seppellite per sempre dai disastri scaturiti dai regime change in Afganistan e in Iraq. Al posto delle armi chimiche di Saddam c’è l’atomica di Khamenei, e torna con in auge l’idea che l’Occidente torni a esportare la democrazia e il rispetto dei diritti umani (anche se della giustificazione ideologica della faccenda sembra non fregare niente a nessuno, la politica di pura e semplice potenza si porta molto meglio oggi di venticinque anni fa).
Ora la politica estera divide le sinistre, è vero. Ma in maniera speculare divide e lacera il mondo delle destre. È valido per l’Ucraina (ne abbiamo parlato qui e qui), quanto per lo scenario mediorientale. Oggi passiamo in rassegna, tra passato e presente, affinità e divergenze tra i camerati e Ayatollah Khomeini.
È il marzo del 2014 quando Claudio Mutti arriva a Teheran per parlare in un convegno internazionale dedicato “alla presenza del Profeta dell'Islam Muhammad nel cinema nella letteratura mondiale”. Ma come ci è arrivato nella capitale dell’Iran questo vecchio attrezzo del neofascismo italiano?
Mutti è stata una delle figure più in vista del cosiddetto nazimaoismo, allievo di Franco Freda, per la casa editrice dell’autore della Disintegrazione del Sistema cura una nuova edizione dei Protocolli dei Savi di Sion. Nella ricerca di riferimenti terzomondisti e di esperienze politiche antimoderne e tradizionaliste, Mutti si invaghisce della rivoluzione socialisteggiante di Muʿammar Gheddafi in Libia. Studioso di lingue di area ugrofinnica, appassionato di esoterismo e folklore, Mutti già nel 1979 fonda a Venezia l’Associazione Europa - Islam, mentre promuove la casa editrice Edizioni all’Insegna del Veltro (tra classici del nazismo, esoterismo, testi negazionisti della Shoah e così via).
Nel 1985 arriva la conversione ufficiale di Mutti all’islam sciita, con il nome Omar Amin. Lo stesso nome adottato dal nazista vicino a Goebbels Johann Von Leers al momento della conversione.
La parabola di Mutti sta all’estremo di un atteggiamento però non così eccentrico come potrebbe apparire in un primo momento nel mondo dell’estrema destra neofascista. L’idea di cercare altrove quello che in Occidente sembra ormai irrimediabilmente perduto. Quell’ordine tradizionale sconvolto dall’universalismo cristiano prima, e poi dalle Rivoluzioni Francese e infine dal marxismo, può forse essere recuperato sull’esempio di quei popoli che non hanno invece svenduto il proprio ordine naturale. Per la stessa ragione buona parte della destra più o meno estrema guarda con simpatia, quando non fa il tifo apertamente, per la Russia di Vladimir Putin.
Anche quell’esemplare quasi unico di “intellettuale di destra” che è in Italia Pietrangelo Buttafuoco si è convertito all’Islam. Anzi è “tornato” all’Islam, spiega l’attuale direttore de La Biennale di Venezia. Tornato all’Islam come tradizione siciliana, ma anche ritorno a una dimensione spirituale, a una ricerca del sacro che porterà René Guénon a sposare la religione islamica, al termine di una lunga ricerca metafisica e neotradizionalista. E se questo itinerario intellettuale non si traduce in una posizione politica anti occidentale, possiamo dire che è una sensibilità non distante da quella espressa da un amico di Buttafuoco, l’attuale ministro della Cultura Alessandro Giuli. Evoliano impenitente, amante dei riti pagani, sostenitore del ruolo dell’Italia come potenza culturale prima di tutto Mediterranea, come Buttafuoco ha subito il fascino di Mosca come Terza Roma e dei popoli forti della loro tradizione.
Quando poi si passa però dalla teoria alla pratica, ogni posa culturale e percorso di ricerca del sacro e della tradizione passa in secondo piano. Altro che Frodo e Bilbo! Gli intellettuali di destra sembrano accantonare teorie più o meno cialtronesche o datate, riti iniziatici e itinerari spirituali, quando si tratta di essere arruolati rispondendo sempre “presente” al richiamo dell’anello del potere. Così Giuli e Buttafuoco, prima critici disincantati della destra postmissina, non solo sono stati promossi alla guida delle istituzioni culturali più importanti del paese, ma prima sono passati per la Fondazione Med-Or di Leonardo, strumento di consenso e soft power della più grande industria di Stato e armi, di neocolonialismo e fantasie di influenza Mediterranea, di difesa dell’interesse nazionale.
Se le posture culturali (e in alcuni casi politiche) sopra descritte, sono state nella storia recente delle destra italiana sicuramente minoritarie, ciò non toglie che il sostegno al panarabismo e alla causa palestinese, hanno invece rappresentato per decenni un punto imprescindibile dell’identità della cosiddetta destra sociale. Un sentimento sopravvissuto nell’ultima avventura politica di Gianni Alemanno, che ha tentato prima delle ultime vicende giudiziarie che lo hanno portato in carcere a capitalizzare i riverberi degli antichi splendori quando i ragazzi del Fronte della Gioventù urlavano “Yankee Go Home”. Anche ora alcuni settori della militanza giovanile legati a Fratelli d’Italia manifestano simpatie per i palestinesi, con un comprensibile imbarazzo di fronte al “loro governo” prono di fronte alle politiche genocidiarie di Tel Aviv con il sostegno di Washington.
Se l’antiamericanismo è solo un ricordo, se la globalizzazione a guida americana non è più il male assoluto, è per effetto della crociata degli anni Zero contro il terrorismo islamista, delle guerre in Iraq e in Afganistan, legate indissolubilmente sul fronte interno all’ostilità per i migranti di religione musulmana, ai toni da Guerra Santa che si sono riproposti in queste settimane. L’islamofobia è stata in molti paesi la cifra dominante in diversi paesi europei dell’ascesa della prima ondata della destra populista.
C’è un “ma” però. La nuova ondata di destra arrivata al potere a Washington (ma anche a Roma), ha vinto promettendo pace e isolazionismo. Lo hanno ripetuto in tutte le salse i fan nostrani di Donald Trump, a cominciare da Matteo Salvini, e Giorgia Meloni non ha mostrato nessuna capacità di distaccarsi dal nuovo corso Atlantico, interpretando il ruolo di fedele alleata del capriccioso leader americano, seguendo come in un tango ogni mossa e giravolta della Casa Bianca. La destra italiana dunque non solo non è interprete di nessun rinnovato progetto europeo, ma ha cestinato qualsiasi ambizione di essere un attore regionale nel Mediterraneo, sul quale per decenni ha vagheggiato una missione civilizzatrice e uno spazio naturale di proiezione per il nostro paese.
L’Italia è stato ancora in anni recenti il principale partner economico dell’Iran in Europa. Ma dal 2017 a oggi le attività di import-export sono crollate. La pace e il multilateralismo sono state spesso legate dalla destra nostrana non a questioni ideologiche (quelle di Mutti e compagnia per intenderci), ma a questioni prettamente di interesse nazionale. Così l’amicizia con la Russia di Putin è stata spesso presentata come difesa dell’interesse nazionale, degli esportatori italiani e della piccola media impresa con precisi e importanti interessi nelle relazioni con Mosca. Non solo: con l’arruolamento di Giulio Terzi Di Sant’Agata, il partito è sempre più impegnato nella sponsorizzazione dei fuori usciti iraniani.
Ma ora che Trump ha trasformato il protezionismo in guerra commerciale, che sta imponendo l’aumento del budget militare per i paesi della Nato e inseguendo il governo messianico e suprematista di Israele sulla via del genocidio e della distruzione di quello che rimaneva della legalità internazionale, che fine hanno fatto le promesse di pace? Cosa rimane della difesa dell’interessa nazionale?
La realpolitik e lo schiacciamento sull’agenda della destra statunitense, ancora una volta hanno fatto dimenticare ai postfascisti italiani gli slogan di gioventù, le promesse nazionaliste e i proclami patriottardi. Con buona pace di ci crede o ci ha creduto.
mi ha ricordato questo passaggio
"Eduard ignorava che fra i piccoli stronzi affettati e i grandi stronzi scurrili ci fosse una terza categoria, una varietà di fascisti di cui in gioventù io ho conosciuto alcuni esemplari: i fascisti intellettuali, ragazzi di solito fervidi, esangui, imbranati, molto colti, che con le loro grosse cartelle sottobraccio frequentano piccole librerie esoteriche e sviluppano fumose teorie sui templari, l’Eurasia o i rosacroce, e non di rado finiscono per convertirsi all’islam." (Emmanuel Carrère, Limonov)