Una questione privata?
Intervista con Davide Coppo sul libro in cui racconta la sua adolescenza fascista.
Benvenute e benvenuti alla puntata numero 58 di S’È DESTRA, la newsletter che ogni settimana racconta i protagonisti, le idee e le culture politiche delle destre in Italia e nel mondo. La scrivo io, che sono Valerio Renzi, in collaborazione con Fandango Libri. Oggi parliamo per la prima volta di un romanza, con un’intervista al suo autore
Davide Coppo lavora a Rivista Studio da più di dieci anni, scrive di cultura e costume, ha insegnato alla Naba e da qualche tempo ha fondato un’enoteca che a giudicare dalla pagina Instagram è un posto molto figo (con la gi che è Milano mica Roma). Io e Davide non ci conosciamo, abbiamo circa la stessa età, solo che io da adolescente ero già decisamente di sinistra, mentre lui era fascista. Oggi Davide non so quanto sia di sinistra, sicuramente non è fascista né di destra. Quella sua esperienza giovanile l’ha raccontata in un romanzo, che si intitola La parte sbagliata, ed è edito da E/O. Ne abbiamo chiacchierato insieme al telefono e questo è il risultato.
Iniziamo!
Il tuo non è un racconto strettamente autobiografico, ma parte da una cosa vera: tu da adolescente hai frequentato, militato sono so qualche grado di intensità, in delle organizzazioni di destra dove dirsi fascisti e fare il saluto romano è normale. Nel romanzo racconti i libri e le letture di cui il protagonista si nutre. Sono effettivamente i testi che hai letto attraversando quell’esperienza? Cosa si trovava in quella biblioteca?
Alcuni dei testi di cui parlo li ho effettivamente letti all’epoca, altri no, e altri ancora li ho riletti scrivendo. Giravano tantissime biografie, le case editrici non le saprei dire. E poi racconti di vicende storiche di scarsissimo valore letterario, un po’ controinformazione un po’ saggistici, delle controstorie. Pierre Drieu La Rochelle avevo provato a leggerlo all’epoca e non ci avevo capito molto. Evola l’ho riletto per scrivere questo libro e l’ho trovato veramente una fregnaccia incredibile, ma volevo portare a fondo il mio personaggio, farlo immergere dentro quelle idee.
Perché non hai scelto la forma del racconto schiettamente biografico?
L’ennesimo memoir non penso sarebbe interessato a nessuno. La mia storia non ha niente di così grave o drammatico da essere in fondo interessante, con la forma romanzo potevo spingermi un po’ più in là, creare un personaggio più interessante del suo corrispettivo reale. Raccontare la storia di Ettore ha aiutato anche me a indagare con la scrittura, la mia stessa storia.
Il protagonista del romanzo compie il suo percorso di formazione. Una deriva che lo allontana dalla famiglia, da quello che sente come socialmente accettato, che lo porta alla ricerca di un gruppo e di qualcosa in cui credere. Il suo viaggio termina con un gesto grave, violento che lui compie, al termine del quale c’è la ricomposizione nella normalità borghese. Ettore diventa fascista solo per caso? Se avesse incontrato un altro amico o un’altra ragazza sarebbe andata diversamente'?
La risposta breve è sì. La risposta lunga è che non conta solo il caso ovviamente, e che sono tante le cose che ci fanno prendere delle scelte e buttare a capofitto. In realtà quello che volevo mostrare, anche se non è che ho proprio una tesi precisa da presentare, è che il male a volte il male lo si incontra per caso, letteralmente girando l'angolo. E sì, la risposta è che se avesse incontrato un'ultrà dell'Inter, il mio protagonista sarebbe diventato un picchiatore dell'Inter.
Noi abbiamo più o meno la stessa età. Quindi per un ragazzo degli anni 2000 diventare un po' fascista o diventare molto fascista è stato solo un caso, o una strada ribellistica come un’altra?
No, questo non lo penso, e non penso che ci sia contraddizione in quanto sto dicendo. Non significa che il fascismo, il neofascismo o il post fascismo, questo tipo di sovranismo che ci troviamo ad affrontare (non riesco ancora a trovare il nome adatto perché mi sembra una creatura nuova), sia un qualcosa che è semplicemente di moda che un ragazzo indossa come un paio di sneakers e poi basta.
Ma il fascismo andava di moda tra i giovani quando ti sei avvicinato tu?
Non direi che andava di moda, almeno non nell’ambiente sociale e scolastico dove vivevo, ma il fatto che possa fare tendenza rende molto più facile incontrare certe idee. Per tornare alle scarpe: non te ne liberi facilmente perché non è che smetti di utilizzare gli strumenti che è un'ideologia ti insegna come smetti di mettere le Puma quando passano di moda. Uscirne non è così facile come smettere di indossare un paio di scarpe. Qualche settimana fa Repubblica ha pubblicato l'intervista di un giovane fuoriuscito da CasaPound, penso che le cose che ci sono scritte sono tutte molto vere, alcune le ho vissute anche io.
Il pericolo di rappresentare la scelta del protagonista del romanzo come quella di un incontro casuale, come un errore di gioventù, però non porta a sottovalutare la pervasività ideologica di alcune idee e la loro diffusione nella nostra società?
Ovviamente c'è questo rischio, ma ne sono molto consapevole. Senza avere l’ambizione del paragone letterario, ma volendo si può dire che il rischio di Una questione privata di Beppe Fenoglio è trarne la conseguenza che i partigiani non erano veramente comunisti, ma combattevano con il fazzoletto rosso solo perché gli stavano un po’ sul cazzo le camice nere e non c’era nessuna ideologia socialista. Io volevo raccontare anche una questione privata, con tutti i rischi che questo si porta con sé, volevo scrivere una storia, non il paradigma di un fenomeno dentro la nostra società.
Insomma, volevi anche affermare che tutti a quindici, diciotto o vent’anni hanno diritto di sbagliare, ma soprattutto di cambiare. Questo sembra sacrosanto anche a me…
Ho scritto mosso dall’esigenza privata di chiedermi che cosa sarebbe stato di me, se non fossi uscito a un certo punto da questo mondo, da questi gruppi. Però anche, e non lo dico in senso provocatorio, cercare di non fare di tutta l'erba un fascio quando si parla di ragazzini fascisti. Cioè di non farsi di non mostrarli tutti rincoglioniti, tutti picchiatori fanatici. Non voglio giustificare nulla di quello che fanno o di quello dicono, come quello che abbiamo visto e ascoltato nell’inchiesta di Fanpage.it, ma capire non vuol dire necessariamente empatizzare, e empatizzare non vuol vuol dire condividere.
All’inizio del romanzo, quando getti in qualche modo le premesse delle scelte che compirà Ettore, mi hanno molto colpito le sensazioni provate di fronte alla pedagogia della storia e della Shoah incontrate alle scuole medie. Visto che delle esigenze di spazio qui ce ne freghiamo, riporto per intero un paio di brani:
Fuori scoppiava la primavera, erano gli ultimi giorni di scuola prima di una libertà che sarebbe stata di segno completamente nuovo: l’estate della fine dell’infanzia, la libertà all’orizzonte. Le immagini sullo schermo erano poco definite. Le figure si muovevano a una velocità superiore al normale ma non doppia, soltanto buffa. Altre figure si salutavano con il braccio alzato, vestite di abiti strani ma interessanti, i cappelli tipo tuba oppure fez, i pantaloni a sbuffo e gli stivali alti fino al ginocchio. Cosa ci trovavo, all’epoca? Me lo sono chiesto spesso anni dopo. Mi sono risposto: un senso di ordine, un senso di felicità, un senso di compiutezza. Tutto appariva funzionante, tutto sembrava andare nella stessa direzione. Mi pareva un mondo senza ripensamenti, senza dubbi né angosce. Un mondo senza spazio per i sensi di colpa. I soggetti di quei video non cambiavano mai. La professoressa Di Livio era intenzionata fermamente a inculcarci le radici della complessità di un intero secolo, il Novecento, sprecando poche parole e somministrandoci molte ore di televisione. Si trattava sempre di documentari, si trattava sempre di marce e di adunate e di discorsi, di braccia tese e della voce squillante del commentatore fuoricampo che illustrava la grandezza dell’Italia e la grandezza di quell’uomo che, alla fine, era il protagonista di tutti i documentari: Benito Mussolini.
Mi sembrano sensazioni condivisibili in parte anche da una persona che, come me, lungi da essere di destra a sedici anni era il prototipo del “capetto” dei collettivi, ma certo quella retorica insopportabile dell'antifascismo istituzionale non aiuta per niente…
Penso che vedere un filmato sulla Shoah in un'ora di storia non sia la soluzione, penso che obbligare i ragazzi a sentire qualcosa non funzioni. Quello che servirebbe è un attivismo di base, che però non venga percepito anche quello come un obbligo. Immagino che oggi siano ancora più distratti i giovanissimi rispetto a quanto eravamo noi, e presentargli la resistenza come una roba museale, cosicchè il 25 aprile è tipo il Natale, che quando arriva arriva l’importante è che sia festa. Ma non penso che i valori o un sentire possano partire dall'alto né con la famosa educazione civica. Credo sia una questione di educazione politica della società, della famosa società civile che che in Italia non mi sembra però godere di ottima salute.
Quando la mamma di Ettore scopre le sue frequentazioni politiche entra in camera e, mentre si sta addormentando, gli dice “fascista di merda”. Poi c’è la ragazza di cui è innamorato che in casa ha i quadri con Lenin e Mao e due genitori accoglienti ma che senza dubbio lo giudicano. La professoressa di inglese, l’unica materia in cui eccelle, lo vorrebbe proteggere e aiutare ma odia le sue idee. Io ho però la sensazione che la “mostrificazione” del giovane fascista che racconti già negli anni Duemila stava svanendo…
Quando passeggio per Roma vedo tutti questi manifesti attaccati fuori i licei, le scritte, il botta e risposta tra destra e sinistra. Seguendo questi manifesti e la loro distribuzione puoi capire tantissime cose. A Milano questa cosa non c’è, ma mi sembra che rispetto a una città come Roma essere un militante di destra per un ragazzo sia più difficile, forse perché è una città con una società civile più forte, non lo so forse è una sensazione. Dall’esperienza mediata che ho da amici docenti o anche genitori, è che oggi avere ragazzi e ragazze in classe che esprimono idee di estrema destra non è così raro, anche se magari non le traducono in una militanza dura o in qualche gruppo. Il mio romanzo termina nel 2005, sono passati vent’anni ma in effetti viviamo in un altro mondo, quindi per molti aspetti sicuramente la realtà giovanile di oggi sarà diversa, ma di vero c’è che tutta una fetta di borghesia delle nostre città non mette mai il naso fuori dai cinque isolati dove vive, quindi quando scopre che la società cova qualcosa di brutto rimane sconvolta.
L'inchiesta di Fanpage.it che hai già citato mostra quello che tutti quelli che seguono l’ambiente sapevano, esiste un doppio registro culturale, linguistico, simbolico e di identità politica che la destra italiana pratica con disinvultura da decenni. Direi un nicodemismo istituzionalizzato e accettato da tutti, la base e i vertici. Questo si vede anche nel tuo romanzo, tu che l’hai vissuto in prima persona confermi che è esattamente così?
È esattamente così e sono convinto che sia ancora così, ma soprattutto che faccia molto comodo ai vertici che non hanno nessuna intenzione di cambiare nulla. Eppure è un meccanismo ideologico che condiziona profondamente i ragazzi che coinvolge, legandoli a te. I partiti di sinistra quanti militanti giovani perderanno per strada? Secondo me tanti, perché magari qualcuno fa carriera e qualcuno no, qualcuno si annoia perché, diciamocelo, la politica di partito non è la cosa più divertente, qualcuno a fare carriera non è interessato o finisce per trovare altre forme di impegno. Adesso penso che la giovanile di Fratelli d’Italia si chiami di nuovo Azione Studentesca come quella che ho conosciuto io, e far crescere così incazzati così incattiviti con idee così estreme questi ragazzi ne fa un gruppo fedele e disciplinato. E quando Meloni o gli altri al vertice del partito dicono “non c’è spazio in Fratelli d’Italia” e quelle robe lì che suonano di circostanza, è perché non hanno nessuna intenzione di cambiare il loro modello. E questo funziona perché uno come Marcello De Angelis in pubblico ha una faccia, poi a casa sua con gli altri camerati il 21 dicembre fa la celebrazione del solstizio d’inverno proprio come la facevano i nazisti (ne abbiamo parlato qui, ndr).