Benvenute e benvenuti a S’È DESTRA, la newsletter che ogni settimana racconta l’Italia ai tempi del governo della destra destra, con il sostegno di Fandango Libri.
Oggi parliamo del partito dei competenti che fanno la corte a Giorgia Meloni.
Ma prima una cosa bella che accade a maggio a Roma, ovvero un corso di formazione pubblico organizzato dal Centro di Riforma dello Stato dal titolo "La fiamma è spenta o è accesa? La resistibile ascesa di Giorgia M.", che Lorenzo Teodonio mi ha invitato a coordinare assieme a lui e Lorenzo Coccoli.
La prima lezione la tengo proprio io e ha come titolo: Il verde e il nero: la destra italiana e la questione ecologica. Ci vediamo giovedì 9 maggio alle 18.00 a Spin Time (Via di Santa Croce in Gerusalemme 55)
E ora iniziamo!
Si è accreditata una narrazione che credo sia profondamente sbagliata in questi mesi, che vorrebbe la premier Giorgia Meloni competente, affidabile, preparata, con grandi capacità diplomatiche e rispettata in Europa e alla Casa Bianca, ovvero molto meglio dei “suoi” che non fanno altro che fargli fare brutte figure e combinare casini. Succede così che i competenti, avendo elevato la leader di Fratelli d’Italia a loro simile, passino il tempo a dargli consigli nel tentativo di convincerla a mollare quell’armata Brancaleone della Generazione Atreju.
Sono gli stessi editorialisti, soloni e commentatori che hanno accreditato l’immagine di Giorgia Meloni come una leader conservatrice, a tratti addirittura moderata, sicuramente preferibile a Matteo Salvini a cui nell’attuale contesto internazionale non si può perdonare le sue ambiguità sulla Russia di Putin e sul sostegno all’Ucraina.
Prendiamo uno su tutti un editoriale di Salvatore Merlo sul Foglio:
Giorgia Meloni si è mossa egregiamente sul piano internazionale, ha accreditato l’Italia in Europa e negli Stati Uniti, ha difeso la democrazia in Ucraina, ha convinto i socialdemocratici tedeschi a seguirla sulla politica migratoria, ha centrato gli obiettivi del Pnrr, ma c’è ragione di credere che non abbia letto il famoso saggio sulla stupidità di Carlo M. Cipolla. Sarà forse per questa ragione che, dopo due anni circa di governo, la presidente del Consiglio si trova davanti a un guaio gigantesco che ipoteca il futuro e la possibile evoluzione di questo fenomeno politico a destra: è circondata da troppi imbecilli.
Ecco fatto. Giorgia è brava, peccato per i suoi amici! Il casus belli che portava Merlo a scrivere il suo editoriale la censura del monologo di Antonio Scurati, se fosse stato per lei non sarebbe mai avvenuto!
Leggiamo ancora il nostro liberale e competente, e ovviamente intelligente commentatore:
L’imbecille di destra, come ben si vede, non ama scimmiottare la complessità ma tende piuttosto a essere zelante, specialmente nei confronti del suo capo. Soltanto che non di rado l’imbecille lo mette in difficoltà, il capo. Col sorriso sulle labbra, come se compisse la cosa più naturale del mondo, l’imbecille compare improvvisamente a scatafasciare i piani del leader. Senza malizia, senza rimorso, e senza ragione. Stupidamente. Accadde quasi due anni fa quando un prefetto utilizzò il decreto sui rave per fare proprio quello che il governo aveva detto che non sarebbe mai accaduto: vietare manifestazioni di piazza. Ed è riaccaduto altre volte in questi mesi. Abbiamo ascoltato la deputata che va in TV a dire che le ragazze devono stare a casa e fare figli, quello che dice che la maternità surrogata è peggio della pedofilia, fino a quello che porta una pistola al cenone di Capodanno e gli parte un colpo.
Infine Merlo chiama in causa l’auctoritas (?) di Giorgio Almirante con questa citazione: “Bisogna distinguere nettamente la fase del è un cretino ma è mio amico dalla più delicata è un amico ma è un cretino”. Infine il monito “come diceva il protagonista del romanzo di Scurati” (ovvero Mussolini): “Basta coglioni”. Che sagace, che penna!
Il Foglio è tornato sull’argomento dopo la conferenza programmatica di Pescara. Questa volta a dispensare consigli non richiesti c’è Marianna Rizzini (30 aprile 2024):
Che tipo di partito deve essere o diventare, Fratelli d’Italia, se la sua leader, la premier Giorgia Meloni (che a Pescara ha chiuso la conferenza programmatica scommettendo tutto sul suo nome) ambisce a farsi riconoscere come “statista” sul piano internazionale? E’ possibile tenere legata la necessità di procedere, in vista delle Europee, a una sorta di referendum su di sé (scrivete solo “Giorgia” sulla scheda elettorale, è il concetto) con quella di allargare FdI al mondo produttivo, e soprattutto alle cosiddette “competenze” che impedirebbero imbarazzi (sparo di Capodanno, caso Rai e non solo) e cadute politico-stilistiche? Per consolidare la posizione, insomma, la strada qual è?
La giornalista chiama in causa Antonio Padellaro che, solo qualche giorno prima,intervenendo a Tagadà su La7 aveva chiesto a Meloni “di portare Fratelli d’Italia fuori da Colle Oppio”, con riferimento alla storica sezione dell’Msi da dove la Generazione Atreju ha preso la rincorsa. E il refrain proposto è sempre lo stesso Meloni dovrebbe arruolare quelli bravi. Infatti per Padellaro il discorso di Pescara appare “rivolto più al passato che al presente, mentre credo sarebbe utile alla premier parlare in casa – per temi e toni – come nei consessi internazionali. Il paese ha dirigenti e intellettuali di livello, ma se non si esce dalla sindrome Colle Oppio non si può fare tesoro della loro esperienza”. Insomma rieccoci sempre allo stesso punto: “Sarebbe utile scegliere non sulla base della fedeltà ma della competenza”.
Qualche giorno prima era stato il direttore del Foglio Claudio Cerasa a puntellare ancora una volta Giorgia Meloni, contrapponendola a Matteo Salvini, addirittura presentandola come un argine alla destra rappresentata dal leader della Lega (13 aprile 2024). Ecco qua:
Meloni dice una cosa e Salvini dice l'opposto. Meloni fa una mossa e Salvini fa la mossa contraria. Meloni indica una direzione e Salvini prende strada opposta. I temi sono svariati ma ormai è una costante: più Meloni fa un passo verso la politica mainstream, più la Salvini fa un passo verso l'estremismo. Ci si potrebbe sorridere, di fronte a questa dinamica, se non fosse che la divaricazione tra gli alleati di governo inizia a essere clamorosa. Non si parla di quisquilie, si parla di visione del mondo. Si parla di ciò che si pensa sulla democrazia liberale, di ciò che si pensa sulla solidarietà europea, di ciò che si pensa su Trump, di ciò che si pensa sulla Russia. Due anni fa nessuno avrebbe potuto dirlo, ma oggi è un fatto: Meloni sta diventando un argine al modello Salvini e chissà che la vera competizione a destra, in vista del 9 giugno, non sia qui. Non sia tra chi, nel centrodestra, mostra di avere le carte in regola per presentarsi di fronte agli elettori con lo sguardo più tranquillo, più moderato, e meno esagitato.
Un punto di vista che Cerasa ha ribadito ancora una volta solo pochi giorni fa, arrivando questa volta a sostenere che Meloni sia una specie di Ursula von der Leyen tricolore (29 aprile 2024):
Mentre il Pd, presentandosi alle europee contro il Patto di stabilità, contro la linea europea sul patto sui migranti, con candidati, addirittura capilista, contrari agli aiuti militari all’Ucraina, si sta allontanando dal mainstream europeo, su politica economica, politica estera e politica di difesa, Meloni, grazie all’Ucraina e non solo, gli si sta sempre di più avvicinando. E, sempre di più, si sta ponendo, sui temi di politica estera in particolare, come un argine non solo al pacifismo della resa di Pd e M5s ma anche a quello della Lega. Perché il generale Vannacci, per il quale nutriamo disprezzo massimo, rappresenta tante cose nell’immaginario politico della Lega, pardon di Salvini, ma tra le tante cose gravi che rappresenta, l’uomo scelto da Salvini come capolista incarna anche ciò che Salvini farebbe se non fosse costretto a essere alleato con Meloni in una posizione di inferiorità politica: odio massimo nei confronti dell’Ucraina, amore assoluto nei confronti della Russia.
Come abbiamo ampiamente visto con citazioni fin troppo lunghe ma necessarie, i liberali italiani continuano ogni giorno a dare credito e patenti ai postfascisti al governo. Un po’ nel tentativo di orientare l’agenda del governo, un po’ perché i loro partiti di riferimento non stanno messi benissimo, ma soprattutto perché sperano che prima o poi la destra e Giorgia Meloni si accorga di loro, dismettendo almeno una parte del proprio personale politico a favore dei “competenti”.
Ma Cerasa e soci possono stare sereni: la destra italiana non ha bisogno di loro. È pronta a incassare gli ammiccamenti e gli applausi, a ignorare le strigliate, e ad andare avanti per la sua strada occupando ogni posto di potere al costo di promuovere le ultime file del partito in ruoli di primo piano. Non capire questo è non capire una delle chiavi fondamentali del successo di Fratelli d’Italia: non imbarcarsi nessuno a bordo se non alcuni selezionatissimi passeggeri, preferire la compattezza storico/ideologica della propria classe politica ai lunghi cv. D’altronde l’agenda culturale e economica dei cosiddetti moderati e quella della destra destra in gran parte coincide - dalla guerra alla woke culture al sostegno al governo israeliano, dal primato dal mercato come religione allo smantellamento di ogni strumento di welfare residuo (reddito in primis) - per questo hanno ben sperato di essere chiamati a corte, in virtù del loro autopercepirsi come élite e insostituibili salvatori della Patria.
Quanto sarebbe piaciuto agli editorialisti e ai commentatori se Meloni avesse davvero invocato il soccorso dei competenti. Ma così non è: Leonardo è già cosa loro, i piani di Claudio Descalzi e dei vertici di Eni si sono dimostrati perfettamente compatibili con quelli del governo. Il sogno proibito di una crisi di governo e di uno spostamento al centro, con la fuoriuscita della Lega e l’ingresso di Renzi e Calenda, e la definitiva normalizzazione della destra postfascista nel quadro istituzionale grazie proprio a loro, arrovella le notti di diversi vicedirettori e circoli che si sentono potenti ma sono impotenti, tagliati fuori.
Per parafrase un detto popolare che cita sempre mia madre ( un’autoctoritas tutto sommato più presentabile di Mussolini e Almirante in fondo): non c’è trippa per liberali.
Prima di salutarci:
Qui potete ordinare se vi va Fascismo Mainstream il mio libro uscito per Fandango Libri, la casa editrice con cui è realizzata anche questa newsletter.
Il prossimo 17 maggio invece uscirà per i tipi di Momo Edizioni Essere Tempesta. Vita e morte di Giacomo Matteotti, il libro racconta le lotte e l’omicidio del leader socialista ai ragazzi e alle ragazze di oggi
È vero quello che dici, però è un po’ troppo caricaturale. Si tratta solo del foglio e dei soliti editorialisti, opinionisti e commentatori mediocri.
Ti capisco, anche a me il foglio dà fastidio. Anche i “liberali” italiani.
Però secondo me non bisognerebbe cadere nella caricatura degli anni ‘20 con i liberali che si unirono ai fascisti. A me onestamente, nonostante i loro apprezzamenti per Giorgia, sembra un’analogia semplicemente non vera oggi.
Sono in coalizione con il destra-centro? No.
Li vuoi in una coalizione di sinistra? Secondo te farebbero bene alla coalizione? La trovi una cosa auspicabile?
Io li lascerei lì soli al “centro” a rovinarsi a vicenda. Per ora vogliono stare lì fermi.
Più che altro a me sembra gente stupita dalle azioni di governo della Meloni, rispetto alla stessa di solo qualche anno fa. In effetti, è innegabile che possa stupire.
Secondo me, non si rendono conto che molte delle decisioni “draghiane” (povero Draghi…), sarebbero state prese da chiunque in quella posizione. Il vincolo di realtà vale per tutti.
Mi sembra un po’ eccessivo dire che i “liberali” italiani vadano alla ricerca della trippa. Quale trippa? Incarichi di cosa? Non mi sembrano così stupidi e ingenui.
Capisco quello che tu voglia dire con le tue frecciatine, ma si tratta solo dei pochi soliti mediocri, in cerca di visibilità.