Ciao a tutte e tutti,
questa è S’È DESTRA e se sei capitato qua per caso è la newsletter settimanale che racconta la destra italiana e non solo (tutte le puntate si leggono qui). La scrivo io, Valerio Renzi, in collaborazione con Fandango Libri.
Oggi parliamo di tutti quelli che avevano scommesso sulla morte di Forza Italia e hanno perso, e di come il partito di Antonio Tajani sembra oggi redivivo.
Ora iniziamo!
Il 12 giugno 2023 moriva Silvio Berlusconi. L’imprenditore ed ex presidente del Consiglio lasciava una grande eredità da gestire, in affari e in politica.
In molti, già prima della scomparsa fisica del leader, avevano scommesso sulla scomparsa di Forza Italia, il partito fondato da Berlusconi con la sua discesa in campo nel 1994. Hanno tutti perso la loro puntata. Le forze del Terzo Polo intendevano fagocitare l’elettorale e spostare il gruppo dirigente di Forza Italia.
Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna sono finite nel dimenticatoio, ormai seconde file di Azione. Andrea Cangini non è stato rieletto con Calenda e ha lasciato la politica. Renato Brunetta alla fine è stato ripescato al Cnel. Tutti i folgorati sulla via di Mario Draghi, insorti alla scelta di Forza Italia di non votare la fiducia a Mr BCE, non se la passano benissimo. Chi all’opposizione un po’ addormentato sugli scranni, chi scomparso dai radar.
La batosta delle ultime elezioni europee per gli ex soci del Terzo Polo, contro il buon risultato degli azzurri, ha reso poi evidente che i voti di Forza Italia non sono voti al momento in libera uscita. E ora Antonio Tajani può dirlo con chiarezza: il partito che guida non è più il partito che campa della rendita dell’immagine sbiadita prima e dell’ologramma oggi di Silvio Berlusconi.
Certo, è un partito fortemente ridimensionato rispetto agli anni d’oro del Cav, ma lo è ormai da tempo, eppure la novità di questa estate 2024 è che Tajani e Forza Italia hanno deciso di differenziarsi con chiarezza nel mercato politico interno del centrodestra. Prima rivendicando la diversità nelle scelte europee e l’internità senza se e senza alla maggioranza che sostiene Ursula Von der Leyen, poi gettando scompiglio con l’ipotesi di sostegno a un disegno di leggo sullo ius scholae. Se la Lega è vannacciana e putinista, Tajani è quello responsabile e europeista. Una divisione dei compiti che può starci in una coalizione e che magari regalerà alterne fortune agli interpreti, senza intaccare la leadership di Giorgia Meloni.
La questione dello ius scholae, diciamolo con chiarezza, è solo fumo: non si farà, questo governo non lo approverà nessun provvedimento sulla cittadinanza per i cittadini nati in Italia da cittadini stranieri. Eppure movimenta le posizioni dentro il governo, con Tajani che forte delle manovre non proprio brillanti di Meloni in Europa, vuole avere più spazio di manovra. La premier è uscita molto ridimensionata rispetto alle aspettative dalla tornata elettorale, al di là della performance del partito sul piano nazionale. È stata scalzata da Viktor Orban che ha dato vita al suo gruppo svuotando Identità e Democrazia e pescando tra i conservatori guidati da Fratelli d’Italia, e non è riuscita a spostare l’asse della maggioranza Ursula verso di sé.
Un’operazione quella del rilancio di aggressività in cui sembra chiara la mano di Pier Silvio e Marina Berlusconi. La presidente di Mondadori il 24 giugno dichiara: “Se parliamo di aborto, fine vita o diritti Lgbtq mi sento più in sintonia con la sinistra di buon senso. Perché ognuno deve essere libero di scegliere”. Passa meno di un mese e tocca all’ad di Mediaset parlare, questa volta entrando ben più nel merito: “Al prossimo giro penso che ci potrebbe essere un'opportunità pazzesca: i moderati in Italia sono la maggioranza, oggi però non hanno qualcuno in cui si riconoscono veramente. La stessa Meloni, che io considero bravissima al di là di come la si pensi, sta prendendo voti anche dei moderati. Forza Italia è perfetta e sta lì, ma un conto è una Forza Italia di resistenza, un conto è una Forza Italia di sfida”.
Il brand c’è, è ancora forte, dice Pier Silvio, perché non sfruttarlo al meglio? Passa qualche giorno e il 20 luglio Tajani va a pranzo con fratello e sorella: non un chiarimento, specificano i convenuti, ma uno scambio di idee sul futuro del partito. Sì, perché a legare i Berlusconi a Forza Italia non c’è solo l’eredità politica paterna, ma soprattuto un fiume di soldi. Alla morte del capostipite i cinque figli hanno eredita la bellezza di 90 milioni di euro crediti che il padre vantava nei confronti del partito, derivati da fidejussioni personali. E poi ci sono quei 600.000 euro versati nelle casse di Forza Italia prima delle Europee.
Insomma: se Forza Italia non è più un partito personale, possiamo almeno dire che è un partito di famiglia, che senza i Berlusconi non esisterebbe. C’è una questione simbolica certo, l’appoggio della famiglia del fondatore e leader maximo ancora venerato come la salma di Lenin, ma anche di quattrini. E se Tajani non è un dipendente dei Berlusconi, neanche può fare finta che non ci siano, con le loro opinioni, idee e soprattutto interessi. Anche perché se la famiglia fosse scontenta esiste sempre il piano b: la discesa in campo di Pier Silvio, che per ora si accontenta di correggere la rotta.