Meloni stravince ma l'estrema destra è in crisi
In questa prima puntata analizziamo la crisi della destra neofascista italiana, avvenuta in contemporanea all'ascesa di Giorgia Meloni e di Fratelli d'Italia. E quale futuro c'è per l'estrema destra.
Benvenute e benvenuti alla prima puntata di S'È DESTRA, la newsletter che ogni venerdì racconta l'Italia al tempo del governo della destra destra. Un progetto sostenuto da Fandango Libri, che ha edito anche il libro Fascismo Mainstream dove tornano molti dei temi che affronteremo.
Questo primo appuntamento è dedicato a un paradosso che poi non è così tanto paradossale a pensarci bene: la crisi dei gruppi neofascisti italiani è andata in parallelo all'exploit di consensi del partito erede del Movimento Sociale Italiano.
Di fronte alla strage di Cutro, dove 72 persone di cui 29 bambine e bambini sono morti a poche centinaia di metri dalla riva della Calabria, il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi ha dichiarato:
Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi cosa devo chiedere io al luogo in cui vivo, ma cosa posso fare io per il Paese in cui vivo per il riscatto dello stesso.
Su Twitter qualcuno si è ricordato degli striscioni affissi da CasaPound Italia il 31 gennaio del 2017 in molte città italiane, il cui messaggio suona così simile alle parole di Piantedosi: “Chi scappa dalla guerra, abbandonando genitori, moglie e figli non merita rispetto”.
Certo cambia il contesto. Piantedosi se l’è presa genericamente con chi decide di mettersi in viaggio, mettendo a rischio la propria vita ribadendo che migrare non è un diritto in ogni caso (“non credo che si possa sostenere che al primo posto ci sia il diritto o il dovere di partire e partire in questo modo”), quelli della tartaruga frecciata se la prendevano in particolare con i migranti siriani, scappati invece di combattere agli ordini del dittatore Bashar Al Assad. Ma il messaggio di fondo è identico.
Quando un uomo dello Stato, con un lungo corsus honorum da funzionario dell'amministrazione civile del Ministero dell'Interno, e poi con una carriera da prefetto che lo ha portato a incarichi di natura politica e di governo, si esprime con parole indistinguibili da quelle di un gruppo di destra neofascista c'è da chiedersi come sia accaduto. E poi: se è un ministro dell'Interno “tecnico” a parlare così, che posto c'è nel panorama politico per l'estrema destra fuori dall'alleanza di centrodestra?
La crisi dei gruppi della destra neofascista italiana sta proprio qui: nel momento in cui Fratelli d'Italia diventa il partito di maggioranza relativa, a cosa servono CasaPound e Forza Nuova? Quando la destra di governo impiega le parole della destra radicale, magari edulcorandole dal loro vestito di simboli e liturgie impresentabili, che posto trovano nell’offerta politica gli imprenditori della xenofobia e i fascisti che si vogliono ancora chiamare tali? Molto poco.
I neofascisti poi non servono a portare voti, non sono determinanti nel momento in cui il consenso alla destra destra travalica, e di molto, il tradizionale spazio elettorale dei partiti post missini. Al massimo rischiano di soffiare qualche seggio nelle amministrazioni locali, conservando una certa capacità militante e di indirizzare preferenze. Chi poi in questi anni ha utilizzato la destra radicale come serbatoio di militanza e consensi, ora pesa bene costi e benefici di questi rapporti.
Ora come ora poi i neofascisti non tornano neanche tanto utili nel ruolo di mazzieri. Non servono neanche a fare propaganda con i fatti, ad alzare la tensione nei quartieri periferici delle città o nei territori più difficili: assalti contro i centri di accoglienza o aggressioni al grido di “Boia chi molla”, rischiano piuttosto di imbarazzare e mettere in difficoltà Meloni e soci ora che al governo ci sono loro.
Ma l'ascesa di Fratelli d'Italia ha solo accelerato una crisi che era già evidente nei due principali gruppi dell'estrema destra italiana, Forza Nuova e CasaPound. Dopo aver analizzato le ragioni di questa crisi, arrivata anche per limiti ed errori dei loro sempiterni leader, vedremo le due possibili strade, che questo piccolo ma significativo e rumoroso arcipelago di sigle e personaggi può imboccare, tentando di prevederne gli esiti.
CasaPound non ne ha azzeccata più una
L'esperienza di CasaPound rappresenta un unicum nel panorama italiano e non solo (una storia ripercorsa dallo storico Elia Rosati in questo libro, che rimane a qualche anno di distanza il più solido e utile per capire l'origine e l'evoluzione del movimento fino al suo apice). Dall'occupazione di un palazzo a Roma scimmiottando l'immaginario dei centri sociali, fino alla costituzione di un movimento nazionale, con decine di sedi e migliaia di iscritti, una rivista, una casa editrice di riferimento, e un presidio particolare nel mondo giovanile e studentesco, CasaPound è stata un'esperienza che ha fortemente innovato il mondo della destra neofascista, il suo immaginario e le sue pratiche.
Poi però qualcosa si è rotto. La scelta di diventare un partito-movimento, spostando il cuore della propria attività dai concerti, le conferenze, le azioni dimostrative, al tentativo di trasformarsi in una forza politica vera e propria, si è infranta di fronte alle delusioni.
Alle elezioni politiche del 2018 i fascisti del terzo millennio arrivano al massimo della loro esposizione mediatica, ma raccolgono poco meno dell’1% dei consensi. Sono ospiti fissi dei salotti televisivi, hanno ottenuto alcuni exploit elettorali locali come a Ostia o a Bolzano e fanno molto parlare di loro. Nella loro sede nazionale in via Napoleone III hanno ospitato giornalisti come Corrado Formigli ed Enrico Mentana. Dopo un breve abbraccio con la Lega di Matteo Salvini (in foto il Capitano a cena con i vertici del gruppo neofascista a Roma), decidono per la corsa solitaria puntando sul loro simbolo che comincia a comparire ovunque sulle schede elettorali.
Eloquente della fine di quell’esperienza il video con l’allora vicepresidente del movimento Simone Di Stefano, canzonato in diretta da Enrico Mentana dalla sala stampa allestita per seguire i risultati elettorali. La delusione è impossibile da nascondere, il fallimento evidente.
Dopo il tonfo del 2018 alle successive elezioni europee del 2019 CasaPound racimola appena lo 0,3%. A quel punto la scelta comunicata dal presidente e capo carismatico Gianluca Iannone: si torna alle origini, basta con le avventure elettorali. Ma ormai tornare indietro è difficile e, nonostante il dibattito interno non trapeli mai e non sia neanche ipotizzabile un congresso o un voto sulla linea politica, Cp perde pezzi. Se ne va il frontman della stagione elettorale Simone Di Stefano (che fine farà lo vedremo tra poco), con il fratello Davide Di Stefano, anche lui militante storico e protagonista della crescita del movimento che viene addirittura espulso.
Nel mezzo di questi eventi arriva poi il ban da Facebook e da Instagram. Una scelta quella di Meta che mette in grande difficoltà Cp, che aveva basato molto della propria visibilità sull’organizzazione di un’efficace comunicazione sui social network. La quasi totalità dei dirigenti locali perde le proprie pagine, vedendo così sfumare quel piccolo capitale di visibilità politica che avevano ottenuto a suon di denunce di situazioni di degrado e dirette contro gli immigrati. Ma oltre alla visibilità perduta è un colpo soprattutto di legittimità per il movimento.
Un’emorragia di militanti e forza che diventa man mano evidente, e dovuta da ultimo anche ai tentennamenti sulla pandemia: CasaPound protesta contro le chiusure, ma non riesce a prendere la testa del corteo e della protesta quando prova a egemonizzare la piazza (“non vogliamo farci strumentalizzare”, dicono ristoratori e imprenditori), e allo stesso tempo si tiene lontana dalle piazze “gentiste” contro la vaccinazione obbligatoria e il green pass.
Forza Nuova: un lento declino
Se Atene piange Sparta non ride. Il gruppo concorrente di CasaPound nell’universo del neofascismo italiano è Forza Nuova, da anni in una posizione nettamente minoritaria proprio per la mancanza di quel dinamismo e di innovazione dei linguaggi, che l’ha fatta rimanere ferma agli Novanta delle teste rasate e dei bomber neri.
Un declino lento quello di Forza Nuova, che si è sempre tenuta ben distante dai partiti del centrodestra dai tempi di Alternativa Sociale di Alessandra Mussolini, e che non ha mai rinunciato alle sue posizioni vicine al tradizionalismo cattolico e all’ortodossia neofascista. Una situazione su cui poi è intervenuta anche una scissione, con l’allontanamento di molti gruppi forzanovisti che hanno dato vita al Movimento Nazionale - Rete dei patrioti.
Ma poi è arrivato il colpo di coda. Il padre padrone del movimento Roberto Fiore richiama a sé il figliol prodigo Giuliano Castellino, che riesce a prendere letteralmente la testa delle manifestazioni no vax e no green pass (come raccontato da questa inchiesta di Fanpage.it).
Un percorso che termina con l’assalto alla sede nazionale della Cgil il 9 ottobre del 2021, la cui conseguenza è una lunga detenzione preventiva per Fiore e Castellino. La loro assenza, e il successivo divorzio politico, di fatto porta alla morte di Forza Nuova. Uscito dal carcere Roberto Fiore sta tentando di rianimare la sua creatura, viaggia spesso per l’Italia in cerca di proseliti e finanziamenti. A Roma ha aperto una nuova sede in via Livorno in zona piazza Bologna (in foto), ma la capacità politica e di mobilitazione di Forza Nuova è ridotta al lumicino.
Due strade per il futuro dell'estrema destra italiana
Ricostruita brevemente la parabola di una crisi durata alcuni anni, quale futuro per l’estrema destra in Italia quando al governo c’è una destra destra tutt’altro che moderata? Io credo che sono due le direttrici possibili che già vediamo all’opera:
la prima è una radicalizzazione sul modello americano, con l’affermazione di tematiche complottiste e un accento messo sulla strenua difesa delle libertà individuali (come ad esempio il movimento no vax e no green pass esprimeva), con l’abbandono dei temi classici del fascismo comunitarista e organicista. Uno scioglimento nei fatti nell’arcipelago delle “fronte del dissenso” come emerso dalla pandemia. È la strada tentata ad esempio da Simone Di Stefano con la sua nuova formazione “Exit”, e la strada perseguita da Castellino e Fiore cavalcando le piazze no vax. A dire il vero anche CasaPound ha strizzato l’occhio a questa via, candidando alcuni indipendenti nelle liste di Italexit di Gianluca Paragone alle elezioni del 2022. L’ennesimo fallimento.
La seconda è quella che prevede invece l’abbandono della strada elettorale, per concentrarsi sulla cosiddetta metapolitica, ovvero il lavoro culturale e movimentista, in forte relazione con la destra destra di governo. L’idea è quella contenuta in un saggio di Gabriele Adinolfi, già leader di Terza Posizione e uno dei padri nobili di CasaPound, in un documento intitolato Sorpasso Neuronico e liberamente reperibile in rete. Qui sosteneva che il ruolo dell’estrema destra deve essere quello di fornire idee e proposte, con l’obiettivo che diventino egemoni tramite la destra di governo, senza immischiarsi direttamente sul terreno della rappresentanza. Un perfetto esempio di questo approccio è la figura del vicedirettore del quotidiano La Verità Francesco Borgonovo, che propone argomenti dell’estrema destra dialogando direttamente con le formazioni neofasciste, portandole in quota di governo nei dibattiti e nei talk televisivi. Un approccio che permette all’estrema destra di non essere ghettizzata ma al contrario ad ambire a finanziamenti e postazioni che ne garantiscano anche la riproduzione politica, senza rinunciare ai saluti romani e ai propri riferimenti ideologici per rendersi presentabili. Ed è esattamente quello che sembra stia accadendo in questi primi mesi di governo Meloni. Ma ci sarà tempo per parlarne e per verificarlo sul terreno.