Ciao!
Questa è l’uscita numero 79 di S’È DESTRA, la newsletter che racconta fatti e idee delle destra in Italia e nel mondo. la numero 78). La scrivo io, che sono Valerio Renzi, in collaborazione con Fandango Libri.
La settimana scorsa venerdì, oggi domenica, proverò a riprendere la regolarità dell’uscita il sabato ma intanto va così. Oggi iniziamo a parlare di come la destra italiana ha affrontato il rapporto con le questioni ambientali.
Per non perderci di vista: giovedì 17 aprile sono a Bergamo all’Ink Club con Elia Rosati.
Per non perderci di vista online: la mia mail è valrenzi@gmail.com, ho un profilo su X e uno su Instagram, su Bluesky e Mastodon. S’È DESTRA è anche un canale Telegram per tutte le cose che non stanno in una newsletter settimanale.
Iniziamo!
Paolo Colli e Fare Verde
Il 25 marzo 2025 sono passati vent’anni dalla morte di Paolo Colli, scomparso a 44 anni stroncato da una leucemia. Colli è stato l’animatore di una delle più longeve e significative esperienze dell’associazionismo della destra italiana: Fare Verde.
Fare Verde viene costituita formalmente il 17 febbraio del 1987. Il nome è chiaramente ispirato a Fare Fronte, la sigla nella quale si organizzano gli studenti del Fronte della Gioventù. L’associazione è tutt’ora attiva e riconosciuta come ente di volontariato ambientale dal Ministero dell’Ambiente.
La prima sede è in via Sommacampagna 29, la storica sezione degli universitari missini. Nel febbraio del 1977 i collettivi autonomi reagiscono a una spedizione squadrista prendendo d’assalto via Sommacampagna. Gli scontri che seguono con la polizia che spara sui manifestanti fanno esplodere il via movimento del ’77. Ancora oggi è il punto di riferimento degli studenti medi di Fratelli d’Italia.
Colli è uno dei ragazzi che vengono dall’ambiente della destra rautiana. È cresciuto nella sede di Colle Oppio sotto la guida di Fabio Rampelli. Arriva alla politica alla fine degli anni Settanta. La sua militanza sopravvive al deflagrare dell’ambiente dei giovani missini romani, dispersi tra il passaggio alla lotta extraparlamentare e all’avvitamento lottarmatista dei NAR. I gruppi vengono sciolti, gli arresti fioccano da ogni parte, e c’è chi tenta alla fine di quella stagione di trovare nuove strade e suggestioni.
La natura vista da Colle Oppio
Proprio da Colle Oppio esce la classe dirigente della destra italiana che oggi governa il Paese e chissà, forse oggi Colli sarebbe sottosegretario o capogruppo in parlamento, ministro. La sua figura è stata spesso ricordata dalla stessa Giorgia Meloni.
Così scriveva ad esempio la futura premier nel 2018: “Sono cresciuta con Paolo Colli. Un eroe del nostro tempo che ci ha insegnato a proteggere chi non ha voce: i mari, i fiumi, le foreste e le generazioni future. Ci ha insegnato che la stessa polare è la vita, non il profitto. Ora Roma gli rende finalmente omaggio e gli intitola un viale in uno dei suoi parchi più belli, Tor Marancia, salvato dalla cementificazione selvaggia dopo una lunga battaglia combattuta nel suo nome. E nel suo nome continueremo il nostro impegno a difesa dell'ambiente e della terra in cui viviamo”.

Negli anni Ottanta, mentre il MSI di Giorgio Almirante si sclerotizza in una forza conservatrice, che spera di essere prima o poi chiamato dalla Democrazia Cristiana al governo per sbarrare l’avanzata del Partito Comunista Italiano, i settori più vitali del partito tentano di dare da destra una risposta ai nuovi bisogni che emergono nella società. Per questo Fare Verde: nella seconda metà del decennio che ha visto emergere nuove forme di organizzazione della società civile, ma soprattutto dal venire meno della centralità del conflitto capitale/lavoro e della fabbrica, Colli immagina un’associazione ambientalista di destra, vicina al MSI ma indipendente.
L’ambientalismo della destra italiana
La destra arriva indubbiamente in ritardo: Legambiente, gemmata dalla Lega per l’Ambiente dell’Arci, nasce nel 1980. L’ambientalismo della sinistra raccoglie una sensibilità nuova che si radica nelle città e non solo: pensiamo ad alcune forme organizzative come i comitati di quartiere, alla maggiore attenzione al tempo libero, alla salute, all’alimentazione, ma anche e soprattutto all’esperienza del movimento per la pace e contro la proliferazione del nucleare.
Durante i funerali di Enrico Berlinguer, il primo vero scroscio di applausi che interrompe il discorso della presidente della Camera Nilde Iotti è quando pronuncia questa parte della sua orazione :“In questo grave momento di crisi politica e di pericoli per la pace tutti sentiamo che Enrico Berlinguer con la sua intelligenza con il suo rigore morale, con la dedizione senza risparmio delle proprie forze, è stato un pilastro della nostra democrazia e per il suo futuro. E insieme è stato garanzia per l’Italia e per l’Europa di inflessibile impegno contro la minaccia dello sterminio atomico e della guerra”. La piazza comunista a quel punto esplode gridando “pace! Pace! Pace!”.
Fare Verde si estende piano piano a livello nazionale, pur rimanendo lontanissima per numeri, volontari e capacità d’impatto sul dibattito pubblico di Legambiente o di Greenpeace per fare due nomi. Il gruppo di Colli è profondamente influenzato dall’esperienza dei Gruppi di Ricerca Ecologica di Rutilio Sermonti (di cui parleremo in una successiva puntata), i suoi libri sul tema sono tutt’oggi la stessa polare dell’associazione. Pur definendosi “né di destra né di sinistra”, si propone di “recuperare, pur nell’ambito di una visione biocentrica, quel rapporto e quelle leggi immutabili esistenti tra l’uomo e la natura di cui la civiltà moderna non vuole tener conto”. Scrive così Sandro Marano nell’introduzione al suo volume sulla storia di Fare Verde. Si tratta, insomma, di riaffermare una filosofia organica, “una concezione tradizionale della vita e del mondo, il senso del sacro, i legami solidaristici e comunitari, i valori non materiali dell’uomo, il rapporto organico e integrale dell’uomo”.
Ma tutto questo in concreto cosa vuol dire? Poco o niente, io credo. L’ambientalismo di Colli e di Fare Verde si sostanzia in iniziative di volontariato e in alcuni campi di lavoro, che seguono il solco delle esperienze ambientaliste dell’universo progressista. Più che a competere, Fare Verde sembra interessata a essere accettata da queste, senza pregiudizi sulla provenienza politica. Sono due le iniziative più significative sul piano pubblico di Fare Verde: la proposta diventata legge sulla messa al bando dei cotton fioc non biodegradabili, e l’iniziativa di pulizia delle spiagge “Il mare d’inverno” organizzata sulla falsariga di “Puliamo il mondo” di Legambiente.
Sono anni in cui di ambientalismo ed ecologia si parla non tanto come critica al modello di sviluppo capitalista, ma soprattutto come questione di sprechi, consumismo, degrado degli ambienti naturali e inquinamento. La natura è soprattutto un “fuori” da preservare e tutelare. L’ambientalismo che va per la maggiore è quello conservazionista, la cui espressione più significativa è il WWF. Un’ecologia il cui obiettivo è mantenere delle porzioni di pianeta più o meno intatte dallo sviluppo industriale, tutelando gli habitat delle specie a rischio e così via. Questo è un tipo di ambientalismo e di impegno, con cui la destra (anche radicale) può provare a dialogare: la critica blanda alla modernità, il chilometro zero, il biologico e così via, sono elementi che non sono di per sé progressisti in assenza della messa in discussione del modello di sviluppo.
Ecologia profonda
Fare Verde sembra essere dunque, nella pratica, una copia piccola e di destra di associazioni di sinistra. Ma cos’è l’ecologia profonda di cui parlano i suoi opuscoli che la distinguerebbe da altre sigle? Sotto questa etichetta troviamo autori come Bill Deval, George Sessions o il norvegese Arne Ness. Non si tratta di una corrente organica, o di cui si può rintracciare un manifesto, ma in grandi linee possiamo dire che tutti questi autori predicano un ritorno alla natura, un pensiero non antropocentrico, ma soprattutto “di non aver bisogno di qualcosa di nuovo, bensì di far rivivere qualcosa di molto antico, di far rivivere la nostra comprensione della saggezza della terra” (scrivono Deval e Sessions). Anche il più noto dei pensatori della nuova destra, che ha seguito il trend della “decrescita” quando andava di moda, Alain de Benoist, si dice un sostenitore del pensiero dell’ecologia profonda. A me sembra semplicemente un pensiero anti modernista verniciato di verde, nulla che possa essere in contraddizione con il pensiero della destra di stampo tradizionalista, ma più utile per le gite in montagna “in compagnia di Evola”, che per una qualsivoglia battaglia politica concreta.
Greta ha spazzato via l’ecologismo di destra
Era nota come “la bambina che zittì il mondo per 6 minuti”: Severn Cullis Suzuki intervenne al Vertice della terra delle Nazioni Unite del 1992 a Rio de Janeiro, che aprirà il sistema delle cop e delle negoziazioni attorno agli impegni per fermare i cambiamenti climatici e riscaldamento globale. Il discorso di quella bambina aveva il pregio di porre in maniera emozionale l’urgenza di mettere il problema del clima in cima all’agenda mondiale, individuandolo anche come un problema globale, contro cui non ci sono frontiere che possano mettere qualcuno al riparo. Ma il discorso di Severn è anche un discorso figlio dell’equivoco della “fine della storia”. È un discorso che sprona tutta l’umanità “insieme”, ognuno a seconda del ruolo che occupa nel Sud o nel Nord del mondo, se ricco o se povero, a lavorare per cambiare la rotta. I cambiamenti climatici, l’inquinamento, il degrado degli ambienti naturali non si capisce bene di chi siano responsabilità. C’è già tutta la retorica ottimista e pienoa di petizioni di principio, che condirà nei decenni successivi il sostanziale inattivismo dell’ecologismo mainstream.
Non è un caso che la conferenza di Rio, proprio come il discorso di Severn Cullis Suzuki, partorirà un sistema ambiguo: da una parte nelle petizioni di principio si ripetono discorsi progressisti sul lato politico, sul lato pratico però le soluzioni sono di stampo decisamente neoliberista. Questo è un sistema dove un ambientalismo di destra può trovare ancora spazio, sostenendo che l’ambiente non è un problema “né di destra né di sinistra”, professando i principi dell’ecologia profonda e le chiacchiere comunitariste nei convegni, e praticando un volontariato aconfluittale e molto istituzionale.
Quando Greta Thunberg prende la parola in Polonia nel 2018 a nome della coalizione Climate Justice Now e per soli tre minuti, contesta apertamente il sistema nato nel 1992 a Rio e che non ha risolto un granché. ça quindicenne che è diventata il simbolo degli “scioperi del venerdì”, chiede una “giustizia climatica”, e lancia il suo grido di battaglia: “Siamo venuti qui per farvi sapere che il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia oppure no. Il potere appartiene al popolo”. E in effetti Greta e i Fridays For Future non sono stati riassorbiti e addomesticati dal sistema, per usare una formula semplice semplice. Hanno dimostrato ampiamente di non essere un ornamento retorico di un sistema ingiusto. Negli anni abbiamo visto manifestare contro le centrali a carbone e l’industria delle armi complice del genocidio di Gaza, finendo spesso e volentieri in stato di fermo e arresto.
Finché si è trattato di essere contro il nucleare o contro la plastica usa e getta o gli ogm è stato un conto, ma quando a essere messo in discussione è il sistema globale di disuguaglianze, quando si chiede un cambio sistemico radicale che passi per un nuovo progetto egualitario di società, e si fa proprio il linguaggio e le lenti decoloniali e del transfemminismo, è chiaro che la destra non può che essere da un’altra parte.
Di fatto un ecologismo di destra poteva trovare una sua comfort zone in un ecosistema di organizzazioni e idee dove a essere maggioritario era un ambientalismo conservativo. Quando invece entra in scena l’urgenza di affrontare i cambiamenti climatici, contestando radicalmente lo status quo, l’ecologia profonda si dimostra per quello che è: una chiacchiera, portando all’affermarsi all’interno della destra italiana di posizioni negazioniste e “scettiche”. Ma anche quando non si nega il cambiamento climatico l’ambiente, è un argomento da agitare solo e soltanto in difesa di alcune categorie e contro le tasse green, per rallentare la conversione ecologica a favore del perdura re del capitalismo fossile.
“L’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio”, è la famosa citazione attribuita al sindacalista brasiliano Chico Mendes. Possiamo dire senza paura di essere smentiti che l’ecologismo della destra italiana è giardinaggio, o raccolta di rifiuti in parchetti e spiagge.
Nei prossimi mesi approfondiremo:
La storia del Gruppi Ricerca Ecologica e il ruolo di Rutilio Sermonti
L’ecologia profonda e l’ecofascismo
Da Alemanno a Lollobrigida: l’ambientalismo di destra alla prova del governo
Coldiretti e il nuovo populismo agrario