Gli apostoli della guerra razziale parlano la stessa lingua della destra mainstream
Un dialogo con Leonardo Bianchi per l'uscita del suo nuovo libro sul terrorismo dell'estrema destra globale.
Buon sabato a tutte e tutti,
oggi parliamo di guerra razziale, suprematismo bianco e del nuovo terrorismo di destra con Leonardo Bianchi. Giornalista e scrittore, ma fa anche i video su Instagram e Tik Tok, è da qualche giorno uscito il suo ultimo libro per i tipi di Solferino. Si intitola Le prime gocce della tempesta ed è il primo lavoro in italiano che fa il punto in modo sistematico sul fenomeno.
Questa è l’uscita trentasei di S’È DESTRA, una newsletter settimanale in collaborazione con Fandango Libri, con cui ho dato alle stampe Fascismo Mainstream.
Parlando di libri: la settimana prossima una novità che mi riguarda?
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Il terrorismo di destra contemporaneo, in Italia ci sembra un fatto lontano, perché non siamo riusciti a riconoscerlo come tale in casa nostra. Negli Stati Uniti per anni si è voluto far finta di non vedere, negli anni della war on terrorism, che la vera emergenza era il terrorismo domestico. Perché il fenomeno continua a essere così sottovalutato?
Prima di tutto il fenomeno è stato sottovalutato dalle forze dell'ordine e di intelligence, che non hanno saputo comprendere quello che stava accadendo, né tanto meno mettere in atto un’azione preventiva.
Va poi detto che la sottovalutazione della violenza suprematista e di estrema destra non è un fatto nuovo. Anche negli anni Ottanta, cioè quando si è creata l’impalcatura ideologica e organizzativa di queste nuove forme terrorismo – e nonostante la presenza di gruppi che avevano letteralmente dichiarato guerra al governo Federale – repressione è intervenuta quando era già tardi.
Dopo l’attentato di Oklahoma City (il 19 aprile 1995 Timothy McVeigh uccide 168 persone con una bomba in un edificio federale ndr), che è stato il più letale commesso da un cittadino americano sul suolo statunitense, non è stato più possibile ignorare il fenomeno.
Anche l’Italia ha conosciuto il terrorismo neofascista nel suo passato recente. Dopo quella stagione, quella delle stragi di Stato e della strategia tensione, la storia però non si è fermata. E ora non siamo più di fronte a gruppi verticali e rigidamente strutturati, ma a un pulviscolo che si muove tra i forum online e la realtà.
L’attentato di Macerata portato a termine da Luca Traini, con cui apro il libro, è esemplificativo: una sola persona sceglie di passare all’azione pur non facendo parte di un’organizzazione (anche se si è candidato alle elezioni con la Lega e ha frequentato gruppi e iniziative di stampo neofascista). E nonostante abbia letteralmente un simbolo nazista tatuato in faccia, e abbia colpito le persone in base al colore della pelle, la sua azione non viene riconosciuta come un attentato terroristico di matrice politica.
I media tendono spesso a descrivere questi episodi come frutto delle azioni di uno squilibrato, mentre la politica di destra a sminuirli o addirittura a negarne una qualsivoglia matrice politica…
Esattamente. La sottovalutazione è prima di tutto politica, e a cascata si ripercuote sulla percezione dell’opinione pubblica. Ci sono attentati per l’appunto che non vengono presentati come tali, mentre le motivazioni ideologiche e di odio sono completamente rimosse dal discorso pubblico.
È accaduto con Luca Traini, come detto; ma anche con Gianluca Casseri, che il 13 dicembre del 2011 ha sparato contro un gruppo di senegalesi a Firenze, uccidendo Samb Modou, 40 anni, e Diop Mor, 54 anni. Sebbene Casseri avesse una contiguità con un gruppo come CasaPound, neppure quell’evento è stato politicizzato o ha avuto ripercussioni sull’agibilità politico-mediatica delle organizzazioni estremiste.
Eppure è evidente che sono attentatori che non spuntano fuori dal nulla: non si tratta di squilibrati completamente al di fuori della società, ma che al contrario sono ben integrati e soprattutto aderiscono a un’ideologia ben precisa.
A proposito di idee. Quello che abbiamo di fronte dal punto di vista ideologico è una sorta di potpourri, dove attentatori e gruppi estremisti mettono insieme cose diverse: dal suprematismo neonazista alla internet culture prodotta dall’alt-right, dalla teoria del gender al complottismo e l’antisemitismo. Gli stessi “manifesti” messi in rete dai terroristi per rivendicare le loro azioni - come quello di Anders Breivik o di Brenton Tarrant. Qual è il minimo comune denominatore?
Gli elementi ricorrenti sono fondamentalmente due. Il primo è la teoria del complotto della sostituzione etnica. Un’idea che è condivisa dall’arcipelago estremista quanto dalla destra radicale mainstream: pensiamo a come Salvini e Meloni l’abbiamo ripetutamente rilanciata in questi anni. Il secondo elemento, strettamente connesso al primo, è l’adottare una postura “difensiva” che in realtà serve a giustificare azioni violente.
Se è in corso un’invasione, un assedio, o un vero e proprio genocidio del Popolo Bianco, allora abbiamo il diritto di difenderci. Di più: abbiamo il dovere di attaccare per primi. Da un lato ci sono le teorie del complotto, mentre dall’altro l’incitamento a scatenare una guerra razziale.
Quadro ideologico che ha delle conseguenze notevoli: chiunque è giustificato a prendere un'arma e agire di conseguenza. Di fronte a una minaccia mortale non si può che agire: e questo è un elemento che ritorna spesso nei manifesti dei terroristi, l’urgenza di passare dalle parole ai fatti. Tarrant, l’attentatore di Christchurch, lo scrive nero su bianco nel suo manifesto: “il miglior momento di colpire – cioè di fare un attentato – è ieri”.
L’obiettivo degli attentatori di estrema destra, dicevi, è scatenare una “guerra razziale”: vogliono quindi dare un esempio per superare i tentennamenti dei partiti e dei movimenti organizzati?
Sì: la “guerra razziale” è necessaria anche e soprattutto per andare oltre l’indecisione e la mollezza dei partiti, che non agiscono nonostante la drammaticità della situazione.
Anche in questo caso, parliamo di teorie e schemi operativi che provengono da romanzi e testi scritti tra gli anni Settanta e Ottanta nel mondo dell’estrema destra statunitense. Il più importante e famoso è The Turner Diaries, tradotto in Italia come La seconda guerra civile americana. (Leonardo ne parla qua della storia di questo libro, in un’uscita della sua newsletter Complotti!). Le pagine più violente e rabbiose del testo sono riservate proprio ai conservatori, ritenuti dei “traditori della razza”. Anche loro finiranno impiccati come i neri, gli ebrei, i “comunisti” e in generale i nemici.
I lupi solitari scopriamo non essere poi tanto solitari dunque…
L'idea che esistono dei lupi solitari che agiscono in modo esclusivamente individuale è una comoda deformazione della realtà. Parliamo infatti di terroristi e di piccoli gruppi che non agiscono senza avere un pubblico di riferimento o un ambiente con cui dialogare. Per gli attentatori degli ultimi anni, questo pubblico è composto dalle imageboard come 4chan o 8chan; per quelli precedenti, i network estremisti diffusi sul territorio.
C’è poi un concetto tattico da evidenziare, la cui teorizzazione risale agli anni Ottanta: quello della Leaderless Resistance, o “Resistenza senza leader”, coniato da Louis Beam, un neonazista che aveva combattuto in Vietnam. Secondo Beam, la polverizzazione delle organizzazioni è necessaria per evitare di farsi infiltrare e controllare dalla polizia, e soprattutto per spingere un individuo all’azione all’interno di un quadro ideologico comune – senza il bisogno di rispondere a ordini gerarchici diretti.
Non a caso gli analisti parlano di “terrorismo post organizzativo”, privo di struttura e quindi difficile da intercettare preventivamente.
Gli attentatori degli ultimi anni, in particolare dopo la strage di Christchurc, sono per lo più giovanissimi e incensurati. Dove si sono radicalizzati?
Come fai notare, parliamo spesso e volentieri di giovani che sono al di fuori dei radar delle forze dell’ordine e anche dei movimenti estremisti.
Il caso più indicativo è quello di Payton Gendron, che ha appena 18 anni quando compie una strage in un supermercato di Buffalo, nello stato di New York, per uccidere quanti più afroamericani possibile. La sua radicalizzazione inizia da minorenne, frequentando 4chan durante i primi lockdown della pandemia. La preparazione dell’attentato dura invece poco meno di un anno, ed è raccontata minuziosamente dallo stesso Gendron in un server privato di Discord, in cui ha tenuto una specie di diario rivolto a chi sarebbe venuto dopo di lui.
Se è difficile utilizzare i classici strumenti di intelligence per fermare questo tipo di terrorismo, molto diverso è il caso della legittimazione di alcune idee. La destra radicale, partiti e movimenti che agiscono alla luce del sole, hanno in questo una responsabilità, a cominciare dalla legittimazione dei discorsi d’odio.
Qui va precisata una cosa: il rapporto tra chi decide di passare all’azione e l’estrema destra – o la destra mainstream – è estremamente conflittuale. Come abbiamo detto prima, gli attentatori spesso agiscono perché quelli che percepisce come i “propri” rappresentanti politici non sono abbastanza attivi. Al tempo stesso, è innegabile che la destra radicale funga da amplificatore e “lavanderia” di teorie del complotto e idee che circolano soprattutto online – su tutte la “sostituzione etnica”.
Per spiegare meglio questo meccanismo penso che valga la pena citare un caso. Nel 2018 Robert G. Bowers entra in una sinagoga di Pittsburg e uccide 11 persone: vuole uccidere quanti più ebrei possibile, perché li ritiene responsabili di voler cancellare la razza bianca. Pensa inoltre che i politici siano manovrati dagli ebrei – Trump incluso! – e che l’estrema destra statunitense non faccia abbastanza, ma che anzi perda tempo prezioso a dibattere se la violenza sia giustificata o meno. Significativamente, subito prima di entrare in azione, scrive su Gab (una specie di Twitter di estrema destra) questa cosa: Screw your optics, I’m going in! (“Fanculo il vostro dibattito, io vado!”).
Insomma: la destra radicale funge da amplificatore delle proprie idee da un lato, ma dall’altro è percepita come un tappo all’azione necessaria per scatenare la “guerra razziale”.
Obiettivi sono gli ebrei, gli appartenenti a “altre razze”, o i banchi “nemici della razza” (come i giovani socialisti che Breivick uccide a Utoya), ma anche le donne e le persone di un orientamento sessuale non eterosessuale. Il femminismo e i movimenti Lgbtq+ sono un altro avversario di questi terroristi, e diventano anche dei bersagli…
Il femminismo è accusato di disgregare la società tradizionale e patriarcale, e soprattutto di essere responsabile del declino demografico della “razza bianca”. In molti manifesti ritorna l’ossessione per la denatalità, causata – tra le varie cose – anche dall’aborto (voluto dalle femministe) e dall’“ideologia gender”, cioè dalla comunità LGBTQIA+.
In più, al femminismo viene imputata la “svirilizzazione” del maschio occidentale, che ha come conseguenza ultima il celibato involontario, cioè la solitudine e l’astinenza sessuale forzata. Questo convincimento sta alla base della subcultura online degli incel (i celibi involontari, per l’appunto), da cui sono usciti alcuni stragisti. Il terrorismo globale di estrema destra ha totalmente assorbito al suo interno la violenza misogina.
Perché la strage di Utoya rappresenta uno spartiacque?
Il massacro di Anders Breivik cambia tutto non tanto dal punto di vista politico-ideologico, quanto dal punto di vista metodologico. Ancora adesso, gli attentati del 22 luglio 2011 rimangono quelli più letali commessi da un singolo estremista di destra. Breivik ha così dimostrato quanto si potesse colpire duro agendo completamente da soli.
L’altra innovazione sta nella diffusione di un manifesto che, oltre all’apparato ideologico (in larghissima parte plagiato da altri testi), contiene indicazioni operative su come commettere una strage. In qualche modo poi, l’attentato stesso rappresenta una sorta di lancio pubblicitario del manifesto. La sua influenza sotto questo punto di vista è palese, perché gli altri attentatori seguiranno le sue orme redigendo un manifesto e diffondendolo online.
Per alcuni Breivik è il Primo Santo da cui è partito il terrorismo bianco di nuova generazione. In questi anni hai studiato anche questa particolare iconografia, che mixa elementi medievali e cristiani, con estetiche tipiche di internet, immergendoti in album composto da meme e santini…
C’è una commissione tra antico e moderno, un sincretismo iconografico che si rifà non solo l'iconografia Cristiana. Se da una parte abbiamo Tarrant o Breivik rappresentanti come santi militanti – con tanto di aureola, manifesti come Vangeli e fucili come scettri – dall’altra abbiamo illustrazioni accelerazioniste che glorificano Bin Laden o si ispirano all’estetica dell’ISIS.
In altre parole: la Bibbia si fonde con i meme, i videogiochi Fps (First person shooter) con la rappresentazione sacra.
È un qualcosa che non ha nulla a che vedere con la comunicazione politica dei gruppi neonazisti o dei movimenti neofascisti: è un tipo di propaganda che nasce come un prodotto della cultura di Internet, ed è destinata a essere consumata principalmente su Internet.
La guerra in Ucraina vede la partecipazione di molti militanti di estrema destra e di circuiti neonazisti. Una familiarità con armi e addestramento militare, assieme al trauma della guerra, rappresenta un ulteriore pericolo?
Potenzialmente sì, è un pericolo. Negli Stati Uniti è già successo: Craig Lang, un estremista andato a combattere in Ucraina nel 2015, ha commesso un duplice omicidio poco dopo essere tornato in patria nel 2018. Tuttavia, va anche detto che le previsioni che erano state fatte all’inizio dell’invasione – ossia che l’Ucraina sarebbe diventata una sorta di campo d’addestramento per gli estremisti di destra di tutto il mondo – non si sono materializzate fino in fondo.
Credo che questo sia dovuto a vari fattori. Anzitutto, il conflitto russo-ucraino è sempre stato molto divisivo all’interno dell’estrema destra globale, e talvolta anche all’interno degli stessi movimenti.
Poi è cambiata la natura stessa del conflitto: non più una guerra localizzata e a bassa intensità tra milizie e battaglioni, com’era nel 2014; ma una guerra totale tra eserciti e, in alcuni casi, tra eserciti e compagnie militari private. Questo vuol dire anche che è molto più difficile raggiungere il fronte e soprattutto arruolarsi nelle varie unità territoriali, dove ora come ora conta più la sopravvivenza che l’ideologia.
Insomma: se tra il 2014 e il 2022 l’Ucraina aveva esercitato una certa attrattiva per gli estremisti di destra statunitensi ed europei, dopo il 24 febbraio del 2022 le cose si sono fatte decisamente più complicate. Giusto per fare un esempio, recentemente il leader del gruppo neonazista statunitense Blood Tribe ha detto che non permetterà ai suoi militanti di andare in Ucraina, perché la vera battaglia da combattere è dentro gli Stati Uniti.