Benvenute e benvenuti a una nuova puntata di S’È DESTRA, la newsletter che racconta l’Italia (e non solo come in questa uscita) ai tempi del governo della destra destra. La scrivo io, Valerio Renzi, in collaborazione con Fandango Libri.
Oggi parliamo dei risultati delle elezioni europee, e proveremo a capire se l’obiettivo della destra di arrivare a un centrodestra formato italiano sia a portata di mano oppure no, in Europa ma soprattutto in Francia, dove le elezioni legislative sono alle porte.
Prima di continuare vi segnalo ovviamente l’inchiesta di Fanpage.it sulle organizzazioni giovanili di Fratelli d’Italia, in particolare questo mio lungo pezzo: Come l’estrema destra si è presa i giovani di Fratelli d’Italia, mentre Meloni faceva finta di nulla.
Ora iniziamo!
Partiamo da un dato: la destra più o meno estrema è andata molto bene, come da pronostici, alle elezioni europee. Entrambi i gruppi parlamentari delle destre hanno visto aumentare sensibilmente i loro seggi. ECR (Partito dei Conservatori e Riformisti Europei) di cui è presidente Giorgia Meloni, a oggi conta 83 seggi (+14), ha superato i liberali di Renew Europe diventando il terzo gruppo, mentre ID (Identità e Democrazia) dove siedono il Rassemblement National di Marine Le Pen e la Lega di Matteo Salvini, conta 58 seggi (+9). I tedeschi di Alternative für Deutschland (AfD), allontanati da ID, ora vanno raminghi nel tentativo di creare un nuovo gruppo ancora più di destra (difficile che ci riescano: serve l’adesione infatti di europarlamentari da almeno 7 paesi diversi).
Abbiamo già parlato in questa newsletter della destra plurale, una definizione coniata dal giornalista Guido Caldiron, per descrivere quello che nell’Italia di fine anni Novanta era un formidabile laboratorio politico che avrebbe fatto scuola in tutto il mondo: Berlusconi non solo ha anticipato lo stile populista, ma ha allo stesso tempo portato la destra postfascista nelle stanze del potere, inaugurando la radicalizzazione delle idee del centro liberale.
Al di là delle alterne vicende di leadership e primati, dei partiti nati e delle esperienze concluse, il blocco politico il cui principali azionisti sono oggi Forza Italia, la Lega e Fratelli d’Italia, ha rappresentato una coalizione solida che si presenta insieme alle elezioni da trent’anni.
Oggi in Europa è a questo tipo di coalizione che si tende, visti anche i successi dell’estrema destra, che stanno costringendo sempre di più le forze centriste, liberali e cristiane ad allearsi con essa se vuole rimanere al potere. Ma per ora il modello italiano rimane una sostanziale anomalia.
Alle ultime elezioni generali in Spagna nel 2023 l’estrema destra di Vox (gli alleati di Meloni) e il Partido Popular sono andati separatamente, nonostante convivano in alcune amministrazioni locali. In Germania per ora il cordone sanitario attorno a Alternative für Deutschland (AfD) regge ma scricchiola: in molti land dell’Est i dirigenti della CDU fanno pressione per procedere con l’alleanza.
In Europa poi la destra e l’estrema destra sono cresciuti, ma al momento lo schema rimane quello della coalizione Ursula, anche se indebolita. Giorgia Meloni sembra fuori dal gioco delle nomine della commissione e, nonostante il rapporto costruito con Ursula Von der Layen, prevale la logica della grande coalizione con il baricentro nell’alleanza tra popolari e socialisti. Una buona notizia per le destre sul piano nazionale, che potranno continuare a portare avanti le loro campagne anti europeiste, una cattiva notizia per la premier italiana che contava di poter dire la sua reclamando un commissario di peso. Vedremo come andrà a finire, quel che finora è certo è che “il centrodestra sul modello italiano”, in Europa non esiste, ma si avvicina.
Per tentare di conquistare il cuore delle istituzioni di Bruxelles Meloni al momento ha anche sacrificato l’alleanza con Viktor Orban: il partito del premier ungherese, Fidesz, ha annunciato che non aderirà a ECR, dopo la scelta di imbarcarsi i cinque eletti dell’Unione dei Rumeni, formazione nazionalista con cui gli ungheresi non vanno per nulla d’accordo per questioni di dispute territoriali. Difficile pensare che Meloni non lo sapesse.
Ma è in Francia più che a Bruxelles che si definiranno i nuovi contorni delle destre continentali. A Parigi sembrava dover definitivamente cadere la conventio ad excludendum nei confronti del Rassemblement National, erede del Front National. Dopo la vittoria alle elezioni europee della formazione guidata da Marine Le Pen e il giovane delfino Jordan Bardella, che ha raccolto oltre il 31% dei consensi, Emmanuel Macron ha sciolto le camere convocando nuove elezioni legislative, chiarendo che qualsiasi sia il risultato non si dimetterà fino alla scadenza naturale del suo mandato da presidente.
Il giorno dopo l’annuncio delle elezioni il leader di Les Republicains, gli eredi del gollismo ormai in piena crisi (a forza di avvicinarsi all’estrema destra, è chiaro che gli elettori scelgono l’originale), Eric Ciotti, ha annunciato l’alleanza con il Rassemblement National. Ne è seguito un convulso parapiglia tra scomuniche, dimissioni, psicodrammi, veti incrociati all’interno del gruppo dirigente. Il risultato è che in alcuni collegi ci saranno più candidati gollisti, in altri (appena 62) RN e Les Republicains presenteranno un candidato comune. Anche l’alleanza con Reconquete! di Éric Zemmour è stata travagliata. In questo caso Marion Marechal Le Pen, dopo l’allontanamento dalla zia e dal Front National, ha deciso di tornare all’ovile annunciando subito l’alleanza elettorale, con grande fastidio di Zemmour che l’ha estromessa non accettando il veto del RN sul suo nome. Risultato una logica di desistenza: Reconquete! non presenterà i suoi candidati in molti collegi.
Quello che al momento sembra certo è che il Rassemblement National sarà il primo partito, e che le destre se saranno in grado di trovare un accordo potrebbero formare un governo insieme, un centro destra sul modello italiano questo sì, ma spostato ancora a più destra.
Per leggere la nuova fase politica che abbiamo di fronte mi sembra molto utile discutere un articolo di Marco Bascetta comparso su il manifesto del 12 giugno del 2024.
Scrive Bascetta:
L’onda nera c’è stata, ma meno omogenea e pervasiva di quanto si potesse attendere. (…). Resta però il fatto che il peso delle destre estreme è aumentato in tutto il continente e non è facile mettere a fuoco i fattori che sottendono questo fenomeno a partire da quel progressivo esaurirsi del “dopoguerra”, delle mentalità, del senso comune e dell’organizzazione sociale ed economica che ne hanno caratterizzato la storia.
L’autore guarda al “centro di gravità” del sistema continentale, osservando il ritorno in voga di soluzione nazionaliste in Francia e Germania:
Ma dove l’onda nera ha assunto la potenza di uno Tsunami, dove il “dopoguerra” sembra essersi più bruscamente interrotto, è proprio in quello che fu il pilastro portante dell’Unione europea: l’asse franco-tedesco. Il principale garante della pace e della cooperazione in Europa. In Francia e in Germania l’esito elettorale ha scosso le fondamenta dell’assetto politico, seppure diverse sono state le reazioni a Parigi e Berlino.
A essere sconfitto è il moderatismo politico a guardia delle politiche monetarie e di bilancio della große koalition tedesca di ieri, proseguita di fatto dal governo socialdemocratico e verde di Scholz, che non sembra in grado di rispondere a esigenze sociali e prospettive di futuro dei cittadini, mentre al contempo la “paura dell’estrema destra” viene progressivamente meno. Sconfitto anche “l’avventurismo” di Emmanuel Macron, che ha puntato tutto sullo scontro anche aspro con interi settori della società con politiche e riforme portate avanti a tutti i costi, con dirigismo e autoritarismo ma con senza consenso. Una strada che al momento sembra rendere possibile davvero per la prima volta all’estrema destra francese di sognare l’Eliseo.
In questo contesto il modello italiano è quello che consentirebbe di saldare tendenze diverse nella fine del Dopoguerra europeo, mostrando come un’alleanza tra forze tradizionalmente moderate e destre più o meno radicali è possibile. Un modo per garantire nuovo consenso alla gestione delle crisi che abbiamo di fronte, puntando sulla chiusura dei confini e una disciplina più dura della forza lavoro migrante, sul rallentamento della transizione ecologica, al sostegno della guerra in Ucraina senza se e senza ma, favorendo la spesa militare, con l’archiviazione definitiva delle timide politiche espansive ed ecologiche messe in campo nella gestione del Covid.
Vi ricordo per ultimo che è da poco uscito Essere tempesta. Vita e morte di Giacomo Matteotti per Momo Edizioni con le illustrazioni di Toni Bruno: si acquista in libreria, negli store online e sul sito dell’editore.
È un libro per ragazze e ragazzi, per informazioni per attività e acquisti per classi e scuole potete scrivere a info@momoedizioni.it
Articolo largamente condivisibile, ma come fa una persona di sinistra a dire “l’archiviazione definitiva delle TIMIDE politiche espansive”.
Cosa c’è stato esattamente di TIMIDO negli ultimi anni? La “austerità” con il 7,4% di deficit nel 2023? Senza austerità e politiche restrittive della BCE a cosa si doveva arrivare? 14% sarebbe stato abbastanza aggressivo e rivoluzionario per te?
Il fallimento totale del PNRR che doveva risollevare il paese, quanto costerà alle generazioni future?
Per parlare del super bonus: troppo poco timido e progressista?
Il dibattito delle europee ha fatto schifo, ma almeno si è parlato di una cosa che riguarda l’Europa: il green deal.
Gli elettori hanno espresso un desiderio di moderazione delle politiche green. Come fa un’analisi delle elezioni europee a non parlare di questo. È solo propaganda dell’estrema destra?